lunedì 31 dicembre 2007

Storia di una candela

C'era una volta un cero
dallo stoppino nero
il resto era di cera
con scritto sopra "spera":
era un cero votivo
e acceso, parea vivo...
La fiamma sua brillava
ma la cera colava
e alla fine quel cero
spirò dicendo: "c'ero".

Sissi, dicembre 2007

Il draghetto innamorato

In un giardino pieno di fiori
viveva un drago dai mille colori

mangiava solo fragole e more
dormiva molto e sognava l'amore

Ma una draghetta che fosse carina
dolce, sensibile, un po' sbarazzina

col manto lucido e gli occhi di fata
lui non l'aveva ancora incontrata:

tutte le amiche che aveva intorno
erano frivole e un po' perdigiorno

non s'occupavano che di vestiti
di parrucchieri, di ciprie, d'inviti…

Il nostro drago, da sognatore,
voleva un anima, cercava un cuore,

e fu per questo che senza preavviso
un bel mattino partì, all'improvviso.

Guadò torrenti, passò confini,
sfidò foreste fitte di pini,

percorse valli, scalò montagne
viaggiò per mari, colline, campagne.

In tutti i luoghi che raggiungeva
il nostro drago sempre chiedeva

della draghetta buona e graziosa
che lui voleva fare sua sposa;

ma da nessuno riusciva ad avere
qualche notizia, qualche parere:

gli elfi e gli gnomi da lui interrogati
gli rispondevano assai sfiduciati:

"Una compagna così, caro drago,
non te la fabbrica nemmeno un Mago!"

Lui ripartiva, ogni volta più lento,
la coda floscia e l'occhio un po' spento:

sentiva il cuore che quasi scoppiava
per il suo sogno che non si avverava…

Ma finalmente, in un giorno d'estate,
in mezzo a un campo di zucche e patate,

vide una splendida draghetta d'oro
con un musetto che era un tesoro!

Lui da lontano le fece un inchino;
lei gli sorrise e gli andò più vicino;

lui delicato le cinse la vita
con la sua coda tenera e ardita…

Lei con dolcezza lo prese per mano
e se ne andarono insieme, lontano…

c'era la musica, nel loro cuore
e, tutto intorno, soltanto amore.


Sissi, primavera 1983

domenica 30 dicembre 2007

La storia più corta del mondo

C'era una volta, adesso non c'è più.

Ralenti

Il cielo è bianco come un lenzuolo
neanche un fringuello che s'alzi in volo
nel parco gli alberi stanno stecchiti
mamme e bambini sono spariti…
fuma il comignolo, l'aria è pungente
nulla si muove, nulla si sente…
poi, tutt'a un tratto, viene giù, lieve,
il primo, timido, fiocco di neve
Sembra un batuffolo, sembra una piuma
sembra uno sbuffo di candida spuma
lento e leggero danza e volteggia
scivola, scarta, cade, galleggia
s'innalza un attimo, freme, tentenna
ritorna a scendere, frena, s'impenna
gira, precipita, prilla, s'avvita,
vortica, vira, sfaglia, scarroccia…
tocca il selciato… la piuma è svanita:
resta, al suo posto, una semplice goccia!


Sissi, Roma, luglio 2000

sabato 29 dicembre 2007

Aritmetica, storia e geografia

Conta le stelle che stanno in cielo
conta le mele che stanno sul melo
conta gli spicchi che fanno un tondo
conta le favole di tutto il mondo

Conta e riconta, racconta una storia
tienila stretta nella memoria:
al tuo cavallo di cartapesta
metti la sella, bardalo a festa,

prendi le briglie, montagli in groppa
poi chiudi gli occhi e vedrai che galoppa
e in un baleno ti porta via
nel più bel posto che al mondo ci sia:

è un posto piccolo eppure immenso
c'è tanta luce ma il buio è intenso
pieno di gente ma insieme deserto
il suo silenzio pare un concerto

puoi stare ferma oppure ballare
puoi fare sogni o ragionare
e appena guardi qualcuno in viso
lui ti risponde con un sorriso

E' un posto strano, un posto incantato,
forse nessuno l'ha ancora trovato
Ma io lo conosco, è casa mia:
certi lo chiamano FANTASIA.


Sissi, 5 novembre 1982

venerdì 28 dicembre 2007

Ninna nanna

Dormi dormi, Coniglietto:
c'è la Mamma accanto al letto

Dormi e sogna, Topolino,
anche Babbo è qui vicino

Sogna e ridi, Coccinella,
abbracciata a tua sorella

Ridi e corri, Somarello,
ché t'insegue tuo fratello

Corri e gioca, Micia mia,
col gomitolo di Zia

Gioca e balla, mio Pulcino,
ché lo Zio suona il violino

Balla e canta, Ranocchietta:
c'è la Nonna che ti aspetta

Canta e salta incontro al sonno,
ché a cullarti c'è anche il Nonno!

Sissi, luglio 2000

domenica 23 dicembre 2007

Lo zucchero-rosmarino

C'era una volta un re, che era vedovo, ma aveva tre devotissime figlie: Petronilla, Logistilla e Domitilla. Un giorno il re s'ammalò d'una strana malattia che nessuno sapeva curare. Vennero chiamati medici d'ogni dove, ma nessuno aveva mai visto la malattia e tantomeno sapeva come porvi rimedio. Vennero quindi cercati maghi e guaritori, ma senza maggiori risultati. Si ricorse persino a delle streghe, che non seppero però dare nessun consiglio.
Il re, intanto, diventava sempre più magro e la sua pelle prendeva sempre più un colore grigio-verde. Si fece un bando che prometteva un premio a chiunque avesse indicato una valida cura. Un giorno si presentò a corte un vecchio soldato.
"Anni fa, il mio reggimento era stato mandato in un remoto luogo dell'oltremare, passai per un paese dove diverse persone avevano una malattia del tutto simile a quella di Sua Maestà. La curavano, mi ricordo, con lo zucchero-rosmarino: un'erba simile al rosmarino, ma dal sapore dolce come quella dello zucchero."
Il re fece venire le sue figlie e disse loro: "Per guarirmi c'è un solo rimedio, un'erba chiamata zucchero-rosmarino, che cresce non si sa dove. Petronilla, tu che sei la più grande ed esperta tra le mie figlie, andrai a cercare quest'erba. Ti darò una scorta di cavalieri e un baule di monete d'oro per le spese del viaggio."
Petronilla s'inchinò rispettosamente, prese baule e scorta e si mise in viaggio. Per diverse settimane cercò lo zucchero-rosmarino, dormendo di notte in una tenda e aprendosi la strada di giorno tra boschi e brughiere. Arrivò un giorno in vista di una città e pensò: "Mi fermerò lì un giorno per riposare, poi riprenderò la mia ricerca." Dopo un giorno pensò: "Un altro giorno mi può solo far bene." Ma l'albergo non aveva stanze, quindi affittò un palazzo, "tanto i soldi mi bastano e avanzano". E così, rimandando di giorno in giorno, Petronilla si stabilì in quella città e si dimenticò dello zucchero-rosmarino e della malattia del padre.
Alla reggia, intanto, ci si preoccupava perchè di Petronilla non si sapeva più niente da settimane. Il re fece chiamare Logistilla, la seconda delle figlie, e le disse: "Figlia mia, è il tuo turno di andare a cercare lo zucchero-rosmarino. Non ho più monete d'oro, ma ti darò un baule di monete d'argento. Non ho più cavalieri, ma ti darò una scorta di fanti e arcieri. E mentre cerchi l'erba, vedi anche di ritrovare tua sorella Petronilla, poveretta, che chissà che cosa le è successo."
Logistilla fece un profondo inchino, partì e s'impegnò nelle ricerche per diversi giorni, finchè non giunse alla città dove s'era fermata a vivere Petronilla. Entrò in città per fare provviste e lì incontrò la sorella maggiore che, vestita da principessa, stava andando a una festa. Petronilla la convinse a fermarsi qualche giorno per riposarsi e divertirsi, prima di riprendere la ricerca dello zucchero-rosmarino. E anche Logistilla finì con lo stabilirsi in quella città, facendo con i soldi del padre una vita di grandi agi e divertimenti.
Il re, che non aveva più notizie di nessuna delle due figlie e le cui condizioni andavano peggiorando, chiamò infine Domitilla, la più giovane, che era poco più che una bambina. "Mi spiace doverti mandare in una missione così difficile, Domitilla, ma delle tue sorelle non so più niente oramai da mesi. Ti darò questa moneta di rame, che è l'ultima che mi è rimasta, e verrà con te il mio cameriere zoppo, che è l'ultima persona rimasta al mio servizio. E mi raccomando, cerca anche le tue povere sorelle, che chissà dove sono finite."
Domitilla diede un bacio sulla guancia del padre, mise in tasca la moneta di rame e partì col cameriere zoppo. Per molte settimane cercò lo zucchero-rosmarino nei boschi e su per le montagne. Chiese alle streghe che abitavano in capanne sperdute nelle paludi e ai saggi che vivevano nelle grotte: a volte raccoglieva qualche vaga indicazione, ma niente di preciso. Di giorno procedeva lentamente, seguendo il passo del cameriere zoppo. Di notte dormiva in una vecchia tenda da campo, perchè le grandi tende a padiglione le avevano portate con sè le sorelle maggiori. Avendo solo una moneta di rame, che Domitilla teneva per le emergenze, si dovevano accontentare di cacciare piccola selvaggina e, quando non ce n'era, si nutrivano di bacche e funghi.
Un bel giorno, Domitilla e il cameriere zoppo videro una fonte d'acqua chiarissima e fresca e decisero di fermarsi per bere e lavarsi la polvere di dosso. Si affacciarono insieme alla fonte e Domitilla vide rispecchiato nell'acqua solo il proprio volto, come se al suo fianco non ci fosse stato nessuno. "Com'è possibile?" chiese al cameriere. E lui le spiegò: "Anni fa avevo sentito che di notte le streghe passavano per il crocicchio di fronte a casa mia per andare al gran ballo delle streghe e volli vedere di persona. Così una notte mi nascosi dietro un cespuglio, ma una strega che arrivava al crocicchio dal campo di barbabietole alle mie spalle mi vide e s'indispettì a tal punto che mi diede prima un calcio sulla gamba, ed è per questo che sono zoppo, e poi mi rubò l'immagine riflessa. 'L'avrai indietro quando saprai meglio come ci si comporta,' mi disse, e volò via.
"A toccar le streghe ci si scotta, ma si diventa anche un pò stregoni. Dalla notte di quell'incontro non ho più avuto paura del buio e non perdo la strada neanche nella più nera oscurità. E il mio udito è diventato fine come quello di un gatto."
Commentò Domitilla: "Chissà, magari recupereremo anche la tua immagine riflessa, oltre che lo zucchero-rosmarino. E non si sa mai, potremmo trovarci in una situazione in cui la tua abilità d'orientarti di notte e di udire ci potrebbe anche venire utile."
Una volta che furono dissetati e ripuliti, Domitilla e il cameriere zoppo s'attrezzarono per andare a caccia. Scorsero un fagiano, ma era un fagiano strano, con una lunga coda di penne azzurre. L'uccello li vide e corse via nel sottobosco, senza poter volare perchè i rami sopra di lui erano troppo fitti e bassi. Lo inseguirono finchè l'animale non si rifugiò sotto una folta distesa di rosmarino, e continuarono a cercarlo fin là sotto, strisciando sotto i cespugli. A un certo punto, Domitilla ruppe un rametto d'un cespuglio e sentì, invece dell'odore intenso di rosmarino, un profumino dolce e sottile come di miele. Masticò alcune foglioline e concluse che, senza dubbio, si trattava di zucchero-rosmarino.
Domitilla e il cameriere zoppo erano così felici che si dimenticarono della fame e del fagiano dalla coda azzurra, che ancora oggi ringrazia d'esser scampato allo spiedo. Presero alcuni rami della pianta e si apprestarono a fare il lungo viaggio di ritorno.
Mancavano pochi giorni per arrivare a casa quando arrivarono a una città. Entrarono per mangiare qualcosa di caldo: dopotutto, avevano ancora la moneta di rame che aveva dato loro il re. Ma quando giunsero alla piazza, Domitilla vide due donne vestite di stracci che chiedevano l'elemosina e riconobbe subito le sue due sorelle. Avevano finito i soldi che loro padre aveva dato loro e s'erano ridotte in miseria.
"Petronilla, Logistilla! Che fortuna avervi incontrato! Lo zucchero-rosmarino avrebbe sì fatto guarire nostro padre, ma vedendoci tornare tutte assieme, con la salute gli tornerà pure il sorriso." E corse ad abbracciarle, le portò in un'osteria e con la sua moneta di rame comprò da mangiare per le sue due sorelle, "Io e il cameriere mangiamo benissimo e abbondantemente tutti i giorni, sapete, e saltare un pasto non ci può che far bene."
Petronilla e Logistilla mangiarono volentieri ed erano felici di aver incontrato la loro sorella, ma quando furono sazie si vergognarono perchè non invece di continuare a cercare l'erba di cui aveva bisogno loro padre, avevano passato mesi e mesi in feste e divertimenti. Si sa, la vergogna si porta talvolta dietro l'invidia e la paura, e paura e invidia chiamano l'astio. Fu così che, in un momento in cui Domitilla non le ascoltava, le sorelle maggiori si misero daccordo per ucciderla e per rubarle lo zucchero-rosmarino. Portando la pianta a loro padre, sarebbero state certamente premiate, e non punite, come rischiavano di essere se Domitilla avesse raccontato di come le aveva ritrovate. Ma mentre parlavano il cameriere zoppo, con il suo udito finissimo, le sentì.
Le tre sorelle e il cameriere ripresero il cammino e di notte si fermarono a dormire in mezzo alla foresta. Il cameriere svegliò Domitilla e le disse quello che aveva udito. Senza svegliare le sorelle maggiori, Domitilla e il cameriere si vestirono e lasciarono il campo. Non ebbero problemi a trovare la strada, perchè il cameriere s'orientava quasi meglio al buio che di giorno.
Così, in capo a una notte e un giorno furono al castello dal vecchio re, che se non era morto, poco ci mancava. Lo zucchero-rosmarino venne fatto bollire in acqua e poi venne dato al re. Per essere sicuri che non si trattasse di una bevanda velenosa, il cameriere zoppo lo volle assaggiare prima di farlo bere al re. Scoprì così che quella pianta medicinale aveva anche altri poteri: mentre beveva vide il proprio volto apparire sulla superficie della coppa d'argento e capì che la sua immagine riflessa gli era stata restituita. Anche la gamba smise di zoppicare: a tutt'oggi, di quel lontano incontro con la strega gli è rimasto solo un dolorino al ginocchio, che gli viene appena prima degli scrosci di pioggia.
Il re, presto ristabilitosi, chiese a Domitilla cosa volesse come premio: "Il titolo di regina? Un castello? Le reali scuderie?" Domitilla, invece, chiese solo che suo padre le permettesse di sposare il cameriere non più zoppo, a cui aveva imparato a volere un gran bene. "Non è che si usi, sposare principesse a camerieri," osservò il re, "ma date le circostanze... a patto che lui sia daccordo, ovviamente."
Avrete capito che questo non era affatto un problema, così Domitilla e il cameriere si sposarono e vissero felici quanto lo si può essere.
E le sorelle Petronilla e Logistilla? Beh, ci misero un pò di tempo a uscire dal bosco: a loro veniva difficile anche di giorno. Quindi camminarono a fatica fino al castello del padre. "Dovrei farvi tagliare la testa!" disse lui severo, ma Domitilla, come al solito, le difese. Se la cavarono lavorando dieci anni nelle scuderie reali, strigliando i cavalli e pulendo il letame, che non è poi il lavoro peggiore che ci sia a questo mondo.

venerdì 21 dicembre 2007

Vocali: O

Odo 'l toro,
odoro 'l porco;
no, non dormo
o sogno l'orco.

lunedì 17 dicembre 2007

Vocali: E

Se leggete ben che c’è,
ne vedrete delle E.

“Se per delle spesette sceme spende,
né le mele, né le pere le prende.”

Guarda quà, guarda là,
siam finiti nella A.

“Sa par dalla spasatta sciama spanda,
nà la mala, nà la para la pranda.”

Oh, la A non c’è più,
cancellata dalla U.

“Su pur dullu spusuttu sciumu spundu,
nù lu mulu, nù lu puru lu prundu.”

Dove siamo non lo so,
però vedo delle O.

“So por dollo sposotto sciomo spondo,
nò lo molo, nò lo poro lo prondo.”

Firulilà, firulilì,
sento suonare tantissime I.

“Si pir dilli spisitti scimi spindi,
nì li mili, nì li piri li prindi.”

domenica 9 dicembre 2007

Storia a catena

C’era una talpa di nome Luca
Che voleva scavarsi una buca.

Scava, scava, ma la terra era troppo dura.
Luca la talpa chiamò allora il bastone:
“Bastone, buca la terra così che io mi possa scavare la tana.”
“Cara talpa no, che non la scaverò,” rispose il bastone.

Luca la talpa chiamò allora il chiodo:
“Chiodo, pungi il bastone,
che non vuole bucare la terra,
così che io possa scavare la mia tana.”
“Cara talpa no, che non lo pungerò,” rispose il chiodo.

Luca la talpa chiamò allora il martello:
“Martello, picchia il chiodo,
che non vuole pungere il bastone,
che non vuole bucare la terra,
così che io possa scavare la mia tana.”
“Cara talpa no, che non lo picchierò,” rispose il martello.

Luca la talpa chiamò allora il fuoco:
“Fuoco, brucia il martello,
che non vuole picchiare il chiodo,
che non vuole bucare la terra,
così che io possa scavare la mia tana.”
“Cara talpa no, che non lo brucerò,” rispose il fuoco.

Luca la talpa chiamò allora l’acqua:
“Acqua, spegni il fuoco,
che non vuole bruciare il martello,
che non vuole picchiare il chiodo,
che non vuole bucare la terra,
così che io possa scavare la mia tana.”
“Cara talpa no, che non lo spegnerò,” rispose l’acqua.

Luca la talpa chiamò allora il sole:
“Sole, asciuga l’acqua,
che non vuole spegnere il fuoco,
che non vuole bruciare il martello,
che non vuole picchiare il chiodo,
che non vuole bucare la terra,
così che io possa scavare la mia tana.”
“Cara talpa no, che non l’asciugherò,” rispose il sole.

Luca la talpa chiamò allora la nuvola:
“Nuvola, copri il sole,
che non vuole asciugare l’acqua,
che non vuole spegnere il fuoco,
che non vuole bruciare il martello,
che non vuole picchiare il chiodo,
che non vuole bucare la terra,
così che io possa scavare la mia tana.”
“Cara talpa no, che non lo coprirò,” rispose la nuvola.

Luca la talpa chiamò allora il vento:
“Vento, spingi via la nuvola,
che non vuole coprire il sole,
che non vuole asciugare l’acqua,
che non vuole spegnere il fuoco,
che non vuole bruciare il martello,
che non vuole picchiare il chiodo,
che non vuole bucare la terra,
così che io possa scavare la mia tana.”
“Cara talpa no, via non lo spingerò,” rispose il vento.

Luca la talpa chiamò allora la montagna:
“Montagna, ferma il vento,
che non vuol spinger via la nuvola,
che non vuole coprire il sole,
che non vuole asciugare l’acqua,
che non vuole spegnere il fuoco,
che non vuole bruciare il martello,
che non vuole picchiare il chiodo,
che non vuole bucare la terra,
così che io possa scavare la mia tana.”
“Cara talpa no, che non lo fermerò,” rispose la montagna.

Luca la talpa chiamò allora il terremoto:
“Terremoto, sbriciola la montagna,
che non vuole fermare il vento,
che non vuol spinger via la nuvola,
che non vuole coprire il sole,
che non vuole asciugare l’acqua,
che non vuole spegnere il fuoco,
che non vuole bruciare il martello,
che non vuole picchiare il chiodo,
che non vuole bucare la terra,
così che io possa scavare la mia tana.”
“Cara talpa sì, la sbriciolerò lì,” rispose il terremoto.

Prima che il terremoto la distrugga, la montagna va a fermare il vento;
ma prima che la montagna la fermi, il vento va a spinger via la nuvola;
ma prima che il vento la spinga via, la nuvola va a coprire il sole;
ma prima che la nuvola lo copra, il sole va a asciugare l’acqua;
ma prima che il sole l’asciughi, l’acqua va a spegnere il fuoco;
ma prima che l’acqua lo spenga, il fuoco va a bruciare il martello;
ma prima che il fuoco lo bruci, il martello va a picchiare il chiodo;
ma prima che il martello lo picchi, il chiodo va a pungere il bastone;
ma prima che il chiodo lo punga, il bastone va a bucare la terra
e Luca la talpa si può scavare la sua tana.

Giochi con poco: conta-monete

Ci si fornisce di una piccola manciata di monetine da 1, 2 e 5 cent. Le si rimescola in mano e le si getta sul tavolo. Si fa poi il totale di quelle che sono cascate dalla parte del numero. Vince chi fa il numero più alto.
Variante: vince chi fa il numero più basso. (Mia figlia sceglie la variante DOPO che entrambi abbiamo sommato i valori delle monetine).

martedì 4 dicembre 2007

Accenti

“Lo zoccolo serro,”
e glielo serrò,
“poi gli metto il ferro.”
E glielo ferrò.

In sella al cavallo
le gambe accavallò:
la maniscalca al ballo
andava e vi ballò.

***

Non mangiano il rene
a casa René
a tutte le cene,
ma oggi ce n’è.

Doppie

Il topo m’ha roso
Il vestito rosso,
ma ben gli voglio e non oso
del collo rompergli l’osso.
Lo prendo per la coda, ma non posso
Fargli del male, così lo poso.

***

Carro amico, verrà a prenderci il caro.

***

Aveva le mani tutte appiccicate di Coca-Colla.

***

Il calciatore diede una gran piedata alla pala e si ruppe l’alluce. Il minatore, intanto, seduto in mezzo alla galleria rimirava la palla, chiedendosi cosa mai potesse farsene.

giovedì 15 novembre 2007

TRE LIMERICKS

Una bambina piange a Toscanella,
guarda su un cielo e parla a una stella:
“Non ho detto CAMALLO,
volevo un CAVALLO!”
Camallo va a cavallo, a Toscanella.

***

Un mago poco bravo di Torino
voleva trasformarmi in topolino,
ma sbaglia la pozione,
ed ecco son leone,
e non c’è più, quel mago di Torino.

***

Un diavolo sporchissimo di Dozza
m’ha preso il maglione e me l’insozza,
ma io prendo il sapone
e lavo il mio maglione
e il diavolo ora pulito di Dozza.

venerdì 9 novembre 2007

STROFA DI MARE

Ho
Un paltò
E un comò
Stil rococò.
Col mio gatto sto
A cantare “O-o!
Se mai ti rincontrerò
Vieni con noi sopra il comò:
come vela useremo il paltò,
ci sembrerà un faro ogni falò
e insieme salperemo per Saint Malo.”

martedì 30 ottobre 2007

SCOIATTOLA CHE VOLA

C’era una volta il capo di una tribù indiana, che si chiamava Grande Acero. Grande Acero aveva una figlia, Scoiattola che Vola, e l’amava più di ogni altra cosa al mondo.
Lui e i suoi indiani andavano a caccia tutti i giorni e portavano a casa la carne per tutta la tribù: cervi, bisonti, lepri e cinghiali. Un giorno il giovane Nuvola che Non Piove tornò dalla caccia con un grande bisonte bianco, che bastò per dar da mangiare a tutti per una settimana. Finita la carne del bisonte, gli indiani di Grande Acero uscirono per la caccia, ma non trovarono niente. Neanche uno scoiattolo. Neanche un topolino.
Ogni giorno andavano più lontano, ma non c’era niente da fare. Gli animali erano spariti così non c’era più nulla da mangiare, se non bacche, radici e insetti.
Gli indiani chiesero al loro stregone, che si chiamava Pentola Borbottante, cosa avesse fatto scappare gli animali. Lo stregone si chiuse nella sua tenda, accese un fuoco, ci buttò su un po’ d’acqua, guardò le nuvolette di vapore, fece un pisolo, quindi, quando gli indiani s’erano quasi stufati e stavano per andare via, parlò e disse:
“Nuvola che non piove ha ucciso il bisonte bianco sacro al Grande Spirito e ora il Grande Spirito è in collera; con Nuvola che Non Piove, che ha ucciso il bisonte bianco, ma anche con Grande Acero, che non gli ha insegnato quali animali si possono mangiare e quali no.
“Il Grande Spirito ha fatto scappare tutti gli animali e non li farà tornare indietro, a meno che Grande Acero non lasci sua figlia Scoiattola che Vola da sola in cima alla montagna.”
Grande Acero pianse, si ribellò, si rotolò nella polvere, ma alla fine dovette fare quello che voleva il Grande Spirito, perché nella tribù tutti morivano di fame.
Scoiattola che Vola si preparava a partire. Pentola Borbottante, che era uno stregone burbero, ma buono, le diede un piffero magico.
“Quando sei in pericolo, suona questo zufolo e qualcosa o qualcuno verrà in tuo aiuto.”
Grande Acero le diede una sacca con della carne secca, mentre Nuvola che Non Piove, che si sentiva un po’ in colpa per le disgrazie di Scoiattola che Vola, le diede il suo arco e sette frecce ben appuntite.

La storia qui si ferma per un giorno,
ne scrivo un altro pezzo e poi ritorno.

Ci sono tre cose terribile per un bambino: lavarsi i capelli; tagliarsi i capelli; stare lontani dal babbo e dalla mamma in cima a una montagna, masticando della carne secca, che era poi quello che stava facendo Scoiattola che Vola. Dalla cima della montagna vedeva la sua tribù che smontava le tende, le legava ai cavalli e partiva. Era triste e piangeva, e dal gran piangere s’addormentò.
Svegliandosi, Scoiattola che Vola vide una lepre con le orecchie lunghissime e le zampe lunghissime che scavava delle radici proprio lì vicino. La bambina incoccò una freccia all’arco, prese la mira e…
“Ferma, cosa fai?” urlò la lepre.
“Non lo vedi? T’infilzo per poi mangiarti”, disse Scoiattola che Vola.
“Pietà! Se non m’infilzi, non te ne pentirai,” implorò la lepre.
“Se non t’infilzo, cosa mi dài in cambio?”, chiese la bambina.
“Ti lascio le mie radici da mangiare,” provò la lepre.
“Le radici mi fanno schifo,” disse Scoiattola che Vola storcendo la bocca.
“Ti racconto una storia che fa ridere,” propose allora la lepre.
“Non ho nessunissima voglia di ridere,” tagliò corto Scoiattola che Vola.
“Ti riporto alla tua tribù,” fece infine la lepre.
“Va bene,” disse Scoiattola che Vola, e rimise la freccia nel porta-frecce, che poi si chiama farètra.
Quella lepre dalla orecchie e zampe lunghissime doveva essere magica. Se no, come avrebbe fatto a riportare Scoiattola che Vola dal suo babbo?
La lepre saltò in braccio alla bambina e le disse:
“Il Grande Spirito è arrabbiatissimo perché Nuvola che Non Piove ha ucciso il bisonte bianco del Grande Spirito, ma devi sapere che il bisonte ha un figlio, un bisontino bianco come il latte. Se lo troveremo e lo porteremo dal Grande Spirito, questi ti farà tornare alla tua tribù.
“Attenta, però, bada! Il bisontino bianco sta nascosto ben bene perché un grosso puma lo cerca per mangiarlo. E mangerà anche noi, se ci prende.”
“Andiamo,” fece Scoiattola che Vola, “ai pericoli ci penseremo dopo.” E così si misero in marcia. Scoiattola che Vola camminava veloce, mentre la lepre con le orecchie e le zampe lunghissime faceva dei grandi salti nell’erba alta. Cammina cammina, arrivarono a un grande bosco, così fitto che sembrava d’essere in una notte senza luna, anche se era ancora mezzogiorno.

Se la fine della storia vuoi ascoltare,
un minutino lo devi aspettare.

Scoiattola che Vola strinse forte il suo arco e le sue frecce, perché aveva un po’ di paura, e s’infilò in mezzo agli alberi, con la lepre che le saltellava di fianco. Dopo aver camminato a lungo, Scoiattola che Vola vide come una macchia bianca sotto un grosso cespuglio nero.
“Vuoi vedere che si tratta del bisontino bianco che si nasconde?”, disse alla lepre, “Andiamo a prenderlo,” e si mise a correre.
“Aspetta,” disse la lepre, ma Scoiattola che Vola, che come tutte le bambine ci metteva una gran furia nel fare le cose, non l’ascoltò nemmeno. Dovete sapere che quella macchia non era proprio bianca-bianca come il latte, ma piuttosto marroncina chiara come una nocciola. Soprattutto, non era un bisontino bianco che si nascondeva dal puma, ma un grosso puma ben acquattato in attesa che la sua preda passasse di lì per saltarle addosso. Succede spesso così, che si vedano delle lucciole e che le si scambi per delle lanterne.
Non appena Scoiattola che Vola fu a tiro, il puma spiccò un gran balzo da sotto il cespuglio, facendo un ruggito così spaventoso che tutti gli uccelli del bosco sentirono all’improvviso un gran freddo e si zittirono immediatamente.
“Lo Zufolo,” urlò la lepre, “suonalo!”
Scoiattola che Vola prese lo zufolo e fece appena in tempo a suonare un firulì, senza neanche il tempo per un firulà, che un bisontino bianco apparve dalla foresta, così veloce che sembrò che fosse uscito da sottoterra. Il bisontino andò a colpire con le sue cornicine il puma, che si girò di scatto e prese a inseguirlo.
“Le frecce”, fece la lepre, “presto!“
Scoiattola che Vola incoccò all’arco e scagliò tutte e sette le sue frecce. Due colpirono il puma alle zampe davanti, due alle zampe di dietro, due colpirono le orecchie e l’ultima s’infilò sulla punta della coda.
“Basta, per carità!”, ruggì il puma, e sparì nella foresta da cui non è più uscito e, se ne è uscito, nessuno lo ha visto.
La bambina e la lepre presero il bisontino per le corna e lo portarono in cima a un’altissima montagna, dove c’era sempre una grande nuvola in cui entrò il bisontino.
“E’ tornato dal Grande Spirito”, disse la lepre, “ed è ora che parta anche io.”
“Come,” fece Scoiattola che Vola, “non vieni con me dalla mia tribù?”
“Fossi matta!”, rispose la lepre, “Non voglio mica finire al tegame.”
E anche lei, la lepre dalle orecchie lunghissime e dalle zampe lunghissime, sparì dentro la nuvola.
“Aspetta!” urlò Scoiattola che Vola, “Non ti ho nemmeno ringraziata!”
Troppo tardi: la lepre era sparita e, nel punto esatto dove era sparita, una cordicina usciva dalla nuvola. Scoiattola che Vola la tirò e attaccato all’altro capo c’era un bellissimo pony. In groppa al cavallino, Scoiattola che Vola galoppò per giorni e giorni attraverso foreste e praterie, finché non raggiunse la sua tribù.
Grande Acero, suo padre, organizzò una grandissima festa con danze e braciole che andò avanti tutta la notte. Lo stregone Pentola Borbottante persino sorrise, una cosa che nessuno gli aveva mai visto fare prima.
“Dov’è Nuvola che Non Piove?”, chiese Scoiattola che Vola, che non vedeva il giovane cacciatore festeggiare.
“Era così pentito d’aver causato tutto quel pasticcio che un giorno se n’è andato. Adesso vive da solo in cima alla montagna,” gli rispose suo padre.
Scoiattola che Vola s’è poi sposata, ha avuto tanti bambini e vive felice, ma ogni tanto pensa a Nuvola che Non Piove e alla lepre dalle orecchie lunghissime e dalle zampe lunghissime, e le piacerebbe avere con loro delle altre avventure.

mercoledì 24 ottobre 2007

Limerick

Tanti anni fa, nell'isola di Zante,
faceva acrobazie un elefante.
Si mise in verticale,
cascò e si fece male
e un brutto terremoto scosse Zante.

domenica 21 ottobre 2007

PAZIENZA

C’era una volta un babbo che girava per la casa urlando: “Dov’è? Dov’è?”
La sua figliola lo vide e gli chiese: “Dov’è cosa?” “Spostati, non vedi che mi stai tra i piedi?!”, disse il babbo sgarbatamente, e si mise a cercare dentro un armadio tirando fuori tutti i vestiti e buttandoli un po’ sul letto e un po’ per terra. Lasciò poi la stanza tutta in disordine e s’infilò per il corridoio: “L’ho perduta! Sono perduto!”
La moglie accorse dalla cucina: “Cos’hai perso?” Il marito neanche l’ascoltava. Prendeva tutti i libri dalla libreria, li apriva e li gettava per terra, facendone dei mucchi che sembravano collinette di carta, su cui la bambina, che era sì un po’ spaventata, ma a cui tutta quella confusione metteva anche un tantinello d’allegria, s’arrampicava come la capre s’arrampicano su per le montagne.
Non aveva ancora finito di buttare i libri per terra, che l’uomo andò in cucina a svuotare il frigorifero, poi in bagno dove prese tutte le cose che stavano nella specchiera e le gettò nel lavandino, poi corse in giardino e si mise a scavare con la vanga, spiantando i fiori e i cespugli. Tornò in casa e prese giacche e cappotti dall’attaccapanni, frugando nelle tasche di ciascuna. “Dov’è? L’ho persa!”, ripeteva in continuazione.
Mentre cercava tra i giocattoli della bambina, vide con la coda dell’occhio una zampetta che usciva da sotto il letto.
“Sei lì, birichina!”, disse, e tirò fuori da là sotto un animaletto peloso con dei grandi occhi dolcissimi, che si chiamava Pazienza.
Adesso che l’aveva ritrovata, si vergognò un po’ di tutti gli sgarbi che aveva fatto e della voce grossa. Diventò rosso come il succo di pomodoro e disse alla moglie e alla figlia, con voce bassa: “Scusate, avevo perso la pazienza. Mi perdonate?”
“Solo se rimetti tutto a posto”, gli disse la moglie. E lui, con Pazienza, rimise a posto tutto.

venerdì 12 ottobre 2007

TOPI E FORMAGGI I

Topolina, topolina,
cosa cerchi giù in cantina?
“Mi son fatta assai coraggio
per cercare del formaggio.”

Ma se il gatto Bradamante
poi ti prende tra le zampe
e con il tuo bel codino
si vuol fare uno spuntino?

“Con i gatti non mi spaventi:
sono troppo grossi e lenti.
Quando il gatto m’è vicino
scappo nel mio bucanino.”

Ho capito, pantegana,
tu mi mangi tutto il grana.
“E il gruviera, e ancora peggio,
mangio chili di taleggio.”

domenica 7 ottobre 2007

Ulisse

Ulisse viaggiava per tornare a casa, ma più viaggiava e più se ne allontanava, e finiva col visitare luoghi sempre più distanti e strani. Scriveva delle lettere per sua moglie Penelope e per suo figlio Telemaco, le metteva dentro un vaso, lo tappava ben bene che non entrasse l’acqua e lo faceva scivolare in mare, sperando che le onde lo portassero a Itaca, la sua isola.
Una volta aveva scritto: “Mi trovo nell’isola degli uomini-con-la-testa-di-cane”, ma la lettera, invece di arrivare a Telemaco, era finita all’isola degli uomini-con-la-testa-di-gatto, che la lessero e si spaventarono tantissimo. Affondarono le loro barche e giurarono che non avrebbero più navigato per il mare, non avesse voluto il destino che incontrassero qualche orrido uomo-con-la-testa-di-cane.
C’era un isola in cui tutte le correnti arrivavano e nessuna la lasciava. Tutta l’acqua veniva inghiottita da delle grotte scavate sulla scogliera e sprofondava sottoterra, nessuno sapeva bene dove. Ulisse cercava di spedire i vasi con le sue lettere, ma la corrente glieli faceva ritornare tutti indietro. In compenso, gli arrivavano vasi da naviganti sperduti in ogni dove, con pergamene che dicevano:
“Sono in un paese dove non c’è mai la notte e per questo le case non hanno la camera da letto,”
oppure
“La mia nave s’è arenata in un posto dove c’è sempre notte e la gente tiene pipistrelli invece che canarini nelle gabbiette.”
Un giorno gli arrivò un vaso con scritto:
“Sono in un’isola dove non arriva nessuna corrente, ma tutte la lasciano. Al centro dell’isola c’è una grande sorgente d’acqua che viene da sottoterra, nessuno sa bene da dove, che forma dei grandi torrenti che scendono a mare facendo delle grandi onde che spingono via i vasi con le mie lettere, ma che impediscono alle lettere che mi vengono scritte di raggiungermi.”
Quando si trovava in mezzo al mare sulla sua nave, Ulisse gettava in acqua dei vasi con delle lettere dolcissime per Penelope. Non sapeva che le sirene li rubavano e li portavano in fondo al mare, per leggere le sue lettere d’amore e sospirare, riempiendo l’abisso di bollicine.

domenica 22 aprile 2007

Vocali: A

L' anatra scappa alla laccia,
la cagna la caccia.
La rana mangia l’alga,
la vacca va alla malga.
Ma sarà già nata
La cavalla alata?

mazapegul

giovedì 19 aprile 2007

Vocali: I

Dimmi, dì,
i bisticci in I.

"Tiri i birilli,
strizzi i mirtilli,
bisticci, strilli,
dipingi i nidi:
dì, di chi ridi?”

La I sparirà,
rimpiazzata dalla A.

"Tara a baralla,
strazza a martalla,
bastaccia, stralla,
dapangia a nada:
dà, da ca rada?”

La A, io lo so,
cede il posto a una O.

"Toro o borollo,
strozzo o mortollo,
bostoccio, strollo,
dopongio o nodo:
dò, do co rodo?”

Questa O, non so perché,
si trasforma in una E.

"Tere e berelle,
strezze e mertelle,
bestecce, strelle,
depenge e nede:
dè, de che rede?”

Ma le E scendendo giù
Suonan come tante U.

"Turu u burullu,
struzzu u murtullu,
bustucciu, strullu,
dupungiu u nudu:
dù, du cu rudu?”

mazapegul

martedì 17 aprile 2007

Formiche

Formichina che lavora
tutto il giorno, ferma ora!
Metti giù il tuo fagotto,
dimmi poi: che c' è la sotto?

Se mi fermo è un grosso guaio:
sotto lì, nel formicaio,
c' è la regina che mi aspetta,
vuole la mia bricioletta.
Se mi fermo, mamma mia!,
la regina mi caccia via.
Tutto il giorno a lavorare,
mai mi posso riposare.
Quando son nata m' han dato la pala,
meglio è andata alla cicala:
secondo quello che si narra
a lei han dato una chitarra.
Ma un giorno o l' altro, regina cattiva,
facciamo una bella cooperativa
e se tu vorrai mangiare
dovrai bene lavorare.

Formichina poveretta,
vedo che ora sei di fretta.
Oggi tu fai una vita da cani,
spero ti vada meglio domani.

mazapegul

lunedì 16 aprile 2007

Limericks e favole III

Povero e solo, un lupo del Mar Rosso
chiede a chi passa una moneta o un osso.
Tiene sul petto
sporco un berretto:
"Metti un soldo nel Cappuccetto Ciosso".

domenica 15 aprile 2007

Limericks e favole II

D' inverno i sette nani a Pontassieve,
dopo una nevicata molto greve,
a lei dicon d' uscire
e il prato ripulire
con pala, scopa e moto-Brancaneve.

Limericks e favole I

Uomo matto dell' isola di Bali,
che a piedi nudi la montagna sali,
metti qualcosa ai piedi
e ad ascoltare siedi
la storia del Matto Con Gli Stivali.

venerdì 13 aprile 2007

La storia che non c'era

C'era una volta una storia che non c'era, e bisognava inventarla. Si chiamarono i fabbricanti di storie, che arrivarono e dissero: “Ma se non ci date un po' di principi e principesse, di streghe e stregoni, di cavalieri e dame, di draghi e ippogrifi, come faremo a farla, questa storia?”
E si dovettero cercare tutte queste cose.
Alcuni andarono nei palazzi dei re a chiedere un po' di principi e principesse. I re e le regine, se sono simpatici, una principessa o un principe te li prestano sempre volentieri, basta che poi li riporti indietro aggiustati come quando li avevi presi.
Altri andarono in cima a delle montagne o in fondo a delle grotte a cercare streghe e stregoni, ma bisognava stare attenti, perché facevano delle magie cattivissime per non essere presi. Si doveva aspettare che dormissero, legarli ben bene con una grossa corda e portarli via così.
I cavalieri e le dame li si trovarono facilmente e vennero via volentieri. Si sa, dame e cavalieri vogliono sempre stare nelle storie e se gli chiedi di entrare in una, ti seguono subito.
E' più difficile convincere i draghi. Se gli tagli la testa, non servono più a fare la storia. Se non gliela tagli, quelli cercano di bruciarti. Per catturarli vivi bisogna essere molto furbi e molto coraggiosi.
Prendere gli ippogrifi, invece, è molto facile. Devi far finta di perdere qualcosa, un giochino o un soldino, poi ti nascondi in un cespuglio. L'ippogrifo arriva per prendere la cosa che hai perduto e portarla sulla luna. Allora tu corri fuori dal cespuglio, gli salti in groppa e gli dici di volare dove vuoi tu.
E così portarono ai fabbricanti di storie principi e principesse, streghe e stregoni, cavalieri e dame, draghi e ippogrifi. I fabbricanti di storie batterono le mani: “Bravi! Bravi!”
E la storia? E’ finita.


mazapegul