lunedì 31 dicembre 2007

Storia di una candela

C'era una volta un cero
dallo stoppino nero
il resto era di cera
con scritto sopra "spera":
era un cero votivo
e acceso, parea vivo...
La fiamma sua brillava
ma la cera colava
e alla fine quel cero
spirò dicendo: "c'ero".

Sissi, dicembre 2007

Il draghetto innamorato

In un giardino pieno di fiori
viveva un drago dai mille colori

mangiava solo fragole e more
dormiva molto e sognava l'amore

Ma una draghetta che fosse carina
dolce, sensibile, un po' sbarazzina

col manto lucido e gli occhi di fata
lui non l'aveva ancora incontrata:

tutte le amiche che aveva intorno
erano frivole e un po' perdigiorno

non s'occupavano che di vestiti
di parrucchieri, di ciprie, d'inviti…

Il nostro drago, da sognatore,
voleva un anima, cercava un cuore,

e fu per questo che senza preavviso
un bel mattino partì, all'improvviso.

Guadò torrenti, passò confini,
sfidò foreste fitte di pini,

percorse valli, scalò montagne
viaggiò per mari, colline, campagne.

In tutti i luoghi che raggiungeva
il nostro drago sempre chiedeva

della draghetta buona e graziosa
che lui voleva fare sua sposa;

ma da nessuno riusciva ad avere
qualche notizia, qualche parere:

gli elfi e gli gnomi da lui interrogati
gli rispondevano assai sfiduciati:

"Una compagna così, caro drago,
non te la fabbrica nemmeno un Mago!"

Lui ripartiva, ogni volta più lento,
la coda floscia e l'occhio un po' spento:

sentiva il cuore che quasi scoppiava
per il suo sogno che non si avverava…

Ma finalmente, in un giorno d'estate,
in mezzo a un campo di zucche e patate,

vide una splendida draghetta d'oro
con un musetto che era un tesoro!

Lui da lontano le fece un inchino;
lei gli sorrise e gli andò più vicino;

lui delicato le cinse la vita
con la sua coda tenera e ardita…

Lei con dolcezza lo prese per mano
e se ne andarono insieme, lontano…

c'era la musica, nel loro cuore
e, tutto intorno, soltanto amore.


Sissi, primavera 1983

domenica 30 dicembre 2007

La storia più corta del mondo

C'era una volta, adesso non c'è più.

Ralenti

Il cielo è bianco come un lenzuolo
neanche un fringuello che s'alzi in volo
nel parco gli alberi stanno stecchiti
mamme e bambini sono spariti…
fuma il comignolo, l'aria è pungente
nulla si muove, nulla si sente…
poi, tutt'a un tratto, viene giù, lieve,
il primo, timido, fiocco di neve
Sembra un batuffolo, sembra una piuma
sembra uno sbuffo di candida spuma
lento e leggero danza e volteggia
scivola, scarta, cade, galleggia
s'innalza un attimo, freme, tentenna
ritorna a scendere, frena, s'impenna
gira, precipita, prilla, s'avvita,
vortica, vira, sfaglia, scarroccia…
tocca il selciato… la piuma è svanita:
resta, al suo posto, una semplice goccia!


Sissi, Roma, luglio 2000

sabato 29 dicembre 2007

Aritmetica, storia e geografia

Conta le stelle che stanno in cielo
conta le mele che stanno sul melo
conta gli spicchi che fanno un tondo
conta le favole di tutto il mondo

Conta e riconta, racconta una storia
tienila stretta nella memoria:
al tuo cavallo di cartapesta
metti la sella, bardalo a festa,

prendi le briglie, montagli in groppa
poi chiudi gli occhi e vedrai che galoppa
e in un baleno ti porta via
nel più bel posto che al mondo ci sia:

è un posto piccolo eppure immenso
c'è tanta luce ma il buio è intenso
pieno di gente ma insieme deserto
il suo silenzio pare un concerto

puoi stare ferma oppure ballare
puoi fare sogni o ragionare
e appena guardi qualcuno in viso
lui ti risponde con un sorriso

E' un posto strano, un posto incantato,
forse nessuno l'ha ancora trovato
Ma io lo conosco, è casa mia:
certi lo chiamano FANTASIA.


Sissi, 5 novembre 1982

venerdì 28 dicembre 2007

Ninna nanna

Dormi dormi, Coniglietto:
c'è la Mamma accanto al letto

Dormi e sogna, Topolino,
anche Babbo è qui vicino

Sogna e ridi, Coccinella,
abbracciata a tua sorella

Ridi e corri, Somarello,
ché t'insegue tuo fratello

Corri e gioca, Micia mia,
col gomitolo di Zia

Gioca e balla, mio Pulcino,
ché lo Zio suona il violino

Balla e canta, Ranocchietta:
c'è la Nonna che ti aspetta

Canta e salta incontro al sonno,
ché a cullarti c'è anche il Nonno!

Sissi, luglio 2000

domenica 23 dicembre 2007

Lo zucchero-rosmarino

C'era una volta un re, che era vedovo, ma aveva tre devotissime figlie: Petronilla, Logistilla e Domitilla. Un giorno il re s'ammalò d'una strana malattia che nessuno sapeva curare. Vennero chiamati medici d'ogni dove, ma nessuno aveva mai visto la malattia e tantomeno sapeva come porvi rimedio. Vennero quindi cercati maghi e guaritori, ma senza maggiori risultati. Si ricorse persino a delle streghe, che non seppero però dare nessun consiglio.
Il re, intanto, diventava sempre più magro e la sua pelle prendeva sempre più un colore grigio-verde. Si fece un bando che prometteva un premio a chiunque avesse indicato una valida cura. Un giorno si presentò a corte un vecchio soldato.
"Anni fa, il mio reggimento era stato mandato in un remoto luogo dell'oltremare, passai per un paese dove diverse persone avevano una malattia del tutto simile a quella di Sua Maestà. La curavano, mi ricordo, con lo zucchero-rosmarino: un'erba simile al rosmarino, ma dal sapore dolce come quella dello zucchero."
Il re fece venire le sue figlie e disse loro: "Per guarirmi c'è un solo rimedio, un'erba chiamata zucchero-rosmarino, che cresce non si sa dove. Petronilla, tu che sei la più grande ed esperta tra le mie figlie, andrai a cercare quest'erba. Ti darò una scorta di cavalieri e un baule di monete d'oro per le spese del viaggio."
Petronilla s'inchinò rispettosamente, prese baule e scorta e si mise in viaggio. Per diverse settimane cercò lo zucchero-rosmarino, dormendo di notte in una tenda e aprendosi la strada di giorno tra boschi e brughiere. Arrivò un giorno in vista di una città e pensò: "Mi fermerò lì un giorno per riposare, poi riprenderò la mia ricerca." Dopo un giorno pensò: "Un altro giorno mi può solo far bene." Ma l'albergo non aveva stanze, quindi affittò un palazzo, "tanto i soldi mi bastano e avanzano". E così, rimandando di giorno in giorno, Petronilla si stabilì in quella città e si dimenticò dello zucchero-rosmarino e della malattia del padre.
Alla reggia, intanto, ci si preoccupava perchè di Petronilla non si sapeva più niente da settimane. Il re fece chiamare Logistilla, la seconda delle figlie, e le disse: "Figlia mia, è il tuo turno di andare a cercare lo zucchero-rosmarino. Non ho più monete d'oro, ma ti darò un baule di monete d'argento. Non ho più cavalieri, ma ti darò una scorta di fanti e arcieri. E mentre cerchi l'erba, vedi anche di ritrovare tua sorella Petronilla, poveretta, che chissà che cosa le è successo."
Logistilla fece un profondo inchino, partì e s'impegnò nelle ricerche per diversi giorni, finchè non giunse alla città dove s'era fermata a vivere Petronilla. Entrò in città per fare provviste e lì incontrò la sorella maggiore che, vestita da principessa, stava andando a una festa. Petronilla la convinse a fermarsi qualche giorno per riposarsi e divertirsi, prima di riprendere la ricerca dello zucchero-rosmarino. E anche Logistilla finì con lo stabilirsi in quella città, facendo con i soldi del padre una vita di grandi agi e divertimenti.
Il re, che non aveva più notizie di nessuna delle due figlie e le cui condizioni andavano peggiorando, chiamò infine Domitilla, la più giovane, che era poco più che una bambina. "Mi spiace doverti mandare in una missione così difficile, Domitilla, ma delle tue sorelle non so più niente oramai da mesi. Ti darò questa moneta di rame, che è l'ultima che mi è rimasta, e verrà con te il mio cameriere zoppo, che è l'ultima persona rimasta al mio servizio. E mi raccomando, cerca anche le tue povere sorelle, che chissà dove sono finite."
Domitilla diede un bacio sulla guancia del padre, mise in tasca la moneta di rame e partì col cameriere zoppo. Per molte settimane cercò lo zucchero-rosmarino nei boschi e su per le montagne. Chiese alle streghe che abitavano in capanne sperdute nelle paludi e ai saggi che vivevano nelle grotte: a volte raccoglieva qualche vaga indicazione, ma niente di preciso. Di giorno procedeva lentamente, seguendo il passo del cameriere zoppo. Di notte dormiva in una vecchia tenda da campo, perchè le grandi tende a padiglione le avevano portate con sè le sorelle maggiori. Avendo solo una moneta di rame, che Domitilla teneva per le emergenze, si dovevano accontentare di cacciare piccola selvaggina e, quando non ce n'era, si nutrivano di bacche e funghi.
Un bel giorno, Domitilla e il cameriere zoppo videro una fonte d'acqua chiarissima e fresca e decisero di fermarsi per bere e lavarsi la polvere di dosso. Si affacciarono insieme alla fonte e Domitilla vide rispecchiato nell'acqua solo il proprio volto, come se al suo fianco non ci fosse stato nessuno. "Com'è possibile?" chiese al cameriere. E lui le spiegò: "Anni fa avevo sentito che di notte le streghe passavano per il crocicchio di fronte a casa mia per andare al gran ballo delle streghe e volli vedere di persona. Così una notte mi nascosi dietro un cespuglio, ma una strega che arrivava al crocicchio dal campo di barbabietole alle mie spalle mi vide e s'indispettì a tal punto che mi diede prima un calcio sulla gamba, ed è per questo che sono zoppo, e poi mi rubò l'immagine riflessa. 'L'avrai indietro quando saprai meglio come ci si comporta,' mi disse, e volò via.
"A toccar le streghe ci si scotta, ma si diventa anche un pò stregoni. Dalla notte di quell'incontro non ho più avuto paura del buio e non perdo la strada neanche nella più nera oscurità. E il mio udito è diventato fine come quello di un gatto."
Commentò Domitilla: "Chissà, magari recupereremo anche la tua immagine riflessa, oltre che lo zucchero-rosmarino. E non si sa mai, potremmo trovarci in una situazione in cui la tua abilità d'orientarti di notte e di udire ci potrebbe anche venire utile."
Una volta che furono dissetati e ripuliti, Domitilla e il cameriere zoppo s'attrezzarono per andare a caccia. Scorsero un fagiano, ma era un fagiano strano, con una lunga coda di penne azzurre. L'uccello li vide e corse via nel sottobosco, senza poter volare perchè i rami sopra di lui erano troppo fitti e bassi. Lo inseguirono finchè l'animale non si rifugiò sotto una folta distesa di rosmarino, e continuarono a cercarlo fin là sotto, strisciando sotto i cespugli. A un certo punto, Domitilla ruppe un rametto d'un cespuglio e sentì, invece dell'odore intenso di rosmarino, un profumino dolce e sottile come di miele. Masticò alcune foglioline e concluse che, senza dubbio, si trattava di zucchero-rosmarino.
Domitilla e il cameriere zoppo erano così felici che si dimenticarono della fame e del fagiano dalla coda azzurra, che ancora oggi ringrazia d'esser scampato allo spiedo. Presero alcuni rami della pianta e si apprestarono a fare il lungo viaggio di ritorno.
Mancavano pochi giorni per arrivare a casa quando arrivarono a una città. Entrarono per mangiare qualcosa di caldo: dopotutto, avevano ancora la moneta di rame che aveva dato loro il re. Ma quando giunsero alla piazza, Domitilla vide due donne vestite di stracci che chiedevano l'elemosina e riconobbe subito le sue due sorelle. Avevano finito i soldi che loro padre aveva dato loro e s'erano ridotte in miseria.
"Petronilla, Logistilla! Che fortuna avervi incontrato! Lo zucchero-rosmarino avrebbe sì fatto guarire nostro padre, ma vedendoci tornare tutte assieme, con la salute gli tornerà pure il sorriso." E corse ad abbracciarle, le portò in un'osteria e con la sua moneta di rame comprò da mangiare per le sue due sorelle, "Io e il cameriere mangiamo benissimo e abbondantemente tutti i giorni, sapete, e saltare un pasto non ci può che far bene."
Petronilla e Logistilla mangiarono volentieri ed erano felici di aver incontrato la loro sorella, ma quando furono sazie si vergognarono perchè non invece di continuare a cercare l'erba di cui aveva bisogno loro padre, avevano passato mesi e mesi in feste e divertimenti. Si sa, la vergogna si porta talvolta dietro l'invidia e la paura, e paura e invidia chiamano l'astio. Fu così che, in un momento in cui Domitilla non le ascoltava, le sorelle maggiori si misero daccordo per ucciderla e per rubarle lo zucchero-rosmarino. Portando la pianta a loro padre, sarebbero state certamente premiate, e non punite, come rischiavano di essere se Domitilla avesse raccontato di come le aveva ritrovate. Ma mentre parlavano il cameriere zoppo, con il suo udito finissimo, le sentì.
Le tre sorelle e il cameriere ripresero il cammino e di notte si fermarono a dormire in mezzo alla foresta. Il cameriere svegliò Domitilla e le disse quello che aveva udito. Senza svegliare le sorelle maggiori, Domitilla e il cameriere si vestirono e lasciarono il campo. Non ebbero problemi a trovare la strada, perchè il cameriere s'orientava quasi meglio al buio che di giorno.
Così, in capo a una notte e un giorno furono al castello dal vecchio re, che se non era morto, poco ci mancava. Lo zucchero-rosmarino venne fatto bollire in acqua e poi venne dato al re. Per essere sicuri che non si trattasse di una bevanda velenosa, il cameriere zoppo lo volle assaggiare prima di farlo bere al re. Scoprì così che quella pianta medicinale aveva anche altri poteri: mentre beveva vide il proprio volto apparire sulla superficie della coppa d'argento e capì che la sua immagine riflessa gli era stata restituita. Anche la gamba smise di zoppicare: a tutt'oggi, di quel lontano incontro con la strega gli è rimasto solo un dolorino al ginocchio, che gli viene appena prima degli scrosci di pioggia.
Il re, presto ristabilitosi, chiese a Domitilla cosa volesse come premio: "Il titolo di regina? Un castello? Le reali scuderie?" Domitilla, invece, chiese solo che suo padre le permettesse di sposare il cameriere non più zoppo, a cui aveva imparato a volere un gran bene. "Non è che si usi, sposare principesse a camerieri," osservò il re, "ma date le circostanze... a patto che lui sia daccordo, ovviamente."
Avrete capito che questo non era affatto un problema, così Domitilla e il cameriere si sposarono e vissero felici quanto lo si può essere.
E le sorelle Petronilla e Logistilla? Beh, ci misero un pò di tempo a uscire dal bosco: a loro veniva difficile anche di giorno. Quindi camminarono a fatica fino al castello del padre. "Dovrei farvi tagliare la testa!" disse lui severo, ma Domitilla, come al solito, le difese. Se la cavarono lavorando dieci anni nelle scuderie reali, strigliando i cavalli e pulendo il letame, che non è poi il lavoro peggiore che ci sia a questo mondo.

venerdì 21 dicembre 2007

Vocali: O

Odo 'l toro,
odoro 'l porco;
no, non dormo
o sogno l'orco.

lunedì 17 dicembre 2007

Vocali: E

Se leggete ben che c’è,
ne vedrete delle E.

“Se per delle spesette sceme spende,
né le mele, né le pere le prende.”

Guarda quà, guarda là,
siam finiti nella A.

“Sa par dalla spasatta sciama spanda,
nà la mala, nà la para la pranda.”

Oh, la A non c’è più,
cancellata dalla U.

“Su pur dullu spusuttu sciumu spundu,
nù lu mulu, nù lu puru lu prundu.”

Dove siamo non lo so,
però vedo delle O.

“So por dollo sposotto sciomo spondo,
nò lo molo, nò lo poro lo prondo.”

Firulilà, firulilì,
sento suonare tantissime I.

“Si pir dilli spisitti scimi spindi,
nì li mili, nì li piri li prindi.”

domenica 9 dicembre 2007

Storia a catena

C’era una talpa di nome Luca
Che voleva scavarsi una buca.

Scava, scava, ma la terra era troppo dura.
Luca la talpa chiamò allora il bastone:
“Bastone, buca la terra così che io mi possa scavare la tana.”
“Cara talpa no, che non la scaverò,” rispose il bastone.

Luca la talpa chiamò allora il chiodo:
“Chiodo, pungi il bastone,
che non vuole bucare la terra,
così che io possa scavare la mia tana.”
“Cara talpa no, che non lo pungerò,” rispose il chiodo.

Luca la talpa chiamò allora il martello:
“Martello, picchia il chiodo,
che non vuole pungere il bastone,
che non vuole bucare la terra,
così che io possa scavare la mia tana.”
“Cara talpa no, che non lo picchierò,” rispose il martello.

Luca la talpa chiamò allora il fuoco:
“Fuoco, brucia il martello,
che non vuole picchiare il chiodo,
che non vuole bucare la terra,
così che io possa scavare la mia tana.”
“Cara talpa no, che non lo brucerò,” rispose il fuoco.

Luca la talpa chiamò allora l’acqua:
“Acqua, spegni il fuoco,
che non vuole bruciare il martello,
che non vuole picchiare il chiodo,
che non vuole bucare la terra,
così che io possa scavare la mia tana.”
“Cara talpa no, che non lo spegnerò,” rispose l’acqua.

Luca la talpa chiamò allora il sole:
“Sole, asciuga l’acqua,
che non vuole spegnere il fuoco,
che non vuole bruciare il martello,
che non vuole picchiare il chiodo,
che non vuole bucare la terra,
così che io possa scavare la mia tana.”
“Cara talpa no, che non l’asciugherò,” rispose il sole.

Luca la talpa chiamò allora la nuvola:
“Nuvola, copri il sole,
che non vuole asciugare l’acqua,
che non vuole spegnere il fuoco,
che non vuole bruciare il martello,
che non vuole picchiare il chiodo,
che non vuole bucare la terra,
così che io possa scavare la mia tana.”
“Cara talpa no, che non lo coprirò,” rispose la nuvola.

Luca la talpa chiamò allora il vento:
“Vento, spingi via la nuvola,
che non vuole coprire il sole,
che non vuole asciugare l’acqua,
che non vuole spegnere il fuoco,
che non vuole bruciare il martello,
che non vuole picchiare il chiodo,
che non vuole bucare la terra,
così che io possa scavare la mia tana.”
“Cara talpa no, via non lo spingerò,” rispose il vento.

Luca la talpa chiamò allora la montagna:
“Montagna, ferma il vento,
che non vuol spinger via la nuvola,
che non vuole coprire il sole,
che non vuole asciugare l’acqua,
che non vuole spegnere il fuoco,
che non vuole bruciare il martello,
che non vuole picchiare il chiodo,
che non vuole bucare la terra,
così che io possa scavare la mia tana.”
“Cara talpa no, che non lo fermerò,” rispose la montagna.

Luca la talpa chiamò allora il terremoto:
“Terremoto, sbriciola la montagna,
che non vuole fermare il vento,
che non vuol spinger via la nuvola,
che non vuole coprire il sole,
che non vuole asciugare l’acqua,
che non vuole spegnere il fuoco,
che non vuole bruciare il martello,
che non vuole picchiare il chiodo,
che non vuole bucare la terra,
così che io possa scavare la mia tana.”
“Cara talpa sì, la sbriciolerò lì,” rispose il terremoto.

Prima che il terremoto la distrugga, la montagna va a fermare il vento;
ma prima che la montagna la fermi, il vento va a spinger via la nuvola;
ma prima che il vento la spinga via, la nuvola va a coprire il sole;
ma prima che la nuvola lo copra, il sole va a asciugare l’acqua;
ma prima che il sole l’asciughi, l’acqua va a spegnere il fuoco;
ma prima che l’acqua lo spenga, il fuoco va a bruciare il martello;
ma prima che il fuoco lo bruci, il martello va a picchiare il chiodo;
ma prima che il martello lo picchi, il chiodo va a pungere il bastone;
ma prima che il chiodo lo punga, il bastone va a bucare la terra
e Luca la talpa si può scavare la sua tana.

Giochi con poco: conta-monete

Ci si fornisce di una piccola manciata di monetine da 1, 2 e 5 cent. Le si rimescola in mano e le si getta sul tavolo. Si fa poi il totale di quelle che sono cascate dalla parte del numero. Vince chi fa il numero più alto.
Variante: vince chi fa il numero più basso. (Mia figlia sceglie la variante DOPO che entrambi abbiamo sommato i valori delle monetine).

martedì 4 dicembre 2007

Accenti

“Lo zoccolo serro,”
e glielo serrò,
“poi gli metto il ferro.”
E glielo ferrò.

In sella al cavallo
le gambe accavallò:
la maniscalca al ballo
andava e vi ballò.

***

Non mangiano il rene
a casa René
a tutte le cene,
ma oggi ce n’è.

Doppie

Il topo m’ha roso
Il vestito rosso,
ma ben gli voglio e non oso
del collo rompergli l’osso.
Lo prendo per la coda, ma non posso
Fargli del male, così lo poso.

***

Carro amico, verrà a prenderci il caro.

***

Aveva le mani tutte appiccicate di Coca-Colla.

***

Il calciatore diede una gran piedata alla pala e si ruppe l’alluce. Il minatore, intanto, seduto in mezzo alla galleria rimirava la palla, chiedendosi cosa mai potesse farsene.