martedì 30 ottobre 2007

SCOIATTOLA CHE VOLA

C’era una volta il capo di una tribù indiana, che si chiamava Grande Acero. Grande Acero aveva una figlia, Scoiattola che Vola, e l’amava più di ogni altra cosa al mondo.
Lui e i suoi indiani andavano a caccia tutti i giorni e portavano a casa la carne per tutta la tribù: cervi, bisonti, lepri e cinghiali. Un giorno il giovane Nuvola che Non Piove tornò dalla caccia con un grande bisonte bianco, che bastò per dar da mangiare a tutti per una settimana. Finita la carne del bisonte, gli indiani di Grande Acero uscirono per la caccia, ma non trovarono niente. Neanche uno scoiattolo. Neanche un topolino.
Ogni giorno andavano più lontano, ma non c’era niente da fare. Gli animali erano spariti così non c’era più nulla da mangiare, se non bacche, radici e insetti.
Gli indiani chiesero al loro stregone, che si chiamava Pentola Borbottante, cosa avesse fatto scappare gli animali. Lo stregone si chiuse nella sua tenda, accese un fuoco, ci buttò su un po’ d’acqua, guardò le nuvolette di vapore, fece un pisolo, quindi, quando gli indiani s’erano quasi stufati e stavano per andare via, parlò e disse:
“Nuvola che non piove ha ucciso il bisonte bianco sacro al Grande Spirito e ora il Grande Spirito è in collera; con Nuvola che Non Piove, che ha ucciso il bisonte bianco, ma anche con Grande Acero, che non gli ha insegnato quali animali si possono mangiare e quali no.
“Il Grande Spirito ha fatto scappare tutti gli animali e non li farà tornare indietro, a meno che Grande Acero non lasci sua figlia Scoiattola che Vola da sola in cima alla montagna.”
Grande Acero pianse, si ribellò, si rotolò nella polvere, ma alla fine dovette fare quello che voleva il Grande Spirito, perché nella tribù tutti morivano di fame.
Scoiattola che Vola si preparava a partire. Pentola Borbottante, che era uno stregone burbero, ma buono, le diede un piffero magico.
“Quando sei in pericolo, suona questo zufolo e qualcosa o qualcuno verrà in tuo aiuto.”
Grande Acero le diede una sacca con della carne secca, mentre Nuvola che Non Piove, che si sentiva un po’ in colpa per le disgrazie di Scoiattola che Vola, le diede il suo arco e sette frecce ben appuntite.

La storia qui si ferma per un giorno,
ne scrivo un altro pezzo e poi ritorno.

Ci sono tre cose terribile per un bambino: lavarsi i capelli; tagliarsi i capelli; stare lontani dal babbo e dalla mamma in cima a una montagna, masticando della carne secca, che era poi quello che stava facendo Scoiattola che Vola. Dalla cima della montagna vedeva la sua tribù che smontava le tende, le legava ai cavalli e partiva. Era triste e piangeva, e dal gran piangere s’addormentò.
Svegliandosi, Scoiattola che Vola vide una lepre con le orecchie lunghissime e le zampe lunghissime che scavava delle radici proprio lì vicino. La bambina incoccò una freccia all’arco, prese la mira e…
“Ferma, cosa fai?” urlò la lepre.
“Non lo vedi? T’infilzo per poi mangiarti”, disse Scoiattola che Vola.
“Pietà! Se non m’infilzi, non te ne pentirai,” implorò la lepre.
“Se non t’infilzo, cosa mi dài in cambio?”, chiese la bambina.
“Ti lascio le mie radici da mangiare,” provò la lepre.
“Le radici mi fanno schifo,” disse Scoiattola che Vola storcendo la bocca.
“Ti racconto una storia che fa ridere,” propose allora la lepre.
“Non ho nessunissima voglia di ridere,” tagliò corto Scoiattola che Vola.
“Ti riporto alla tua tribù,” fece infine la lepre.
“Va bene,” disse Scoiattola che Vola, e rimise la freccia nel porta-frecce, che poi si chiama farètra.
Quella lepre dalla orecchie e zampe lunghissime doveva essere magica. Se no, come avrebbe fatto a riportare Scoiattola che Vola dal suo babbo?
La lepre saltò in braccio alla bambina e le disse:
“Il Grande Spirito è arrabbiatissimo perché Nuvola che Non Piove ha ucciso il bisonte bianco del Grande Spirito, ma devi sapere che il bisonte ha un figlio, un bisontino bianco come il latte. Se lo troveremo e lo porteremo dal Grande Spirito, questi ti farà tornare alla tua tribù.
“Attenta, però, bada! Il bisontino bianco sta nascosto ben bene perché un grosso puma lo cerca per mangiarlo. E mangerà anche noi, se ci prende.”
“Andiamo,” fece Scoiattola che Vola, “ai pericoli ci penseremo dopo.” E così si misero in marcia. Scoiattola che Vola camminava veloce, mentre la lepre con le orecchie e le zampe lunghissime faceva dei grandi salti nell’erba alta. Cammina cammina, arrivarono a un grande bosco, così fitto che sembrava d’essere in una notte senza luna, anche se era ancora mezzogiorno.

Se la fine della storia vuoi ascoltare,
un minutino lo devi aspettare.

Scoiattola che Vola strinse forte il suo arco e le sue frecce, perché aveva un po’ di paura, e s’infilò in mezzo agli alberi, con la lepre che le saltellava di fianco. Dopo aver camminato a lungo, Scoiattola che Vola vide come una macchia bianca sotto un grosso cespuglio nero.
“Vuoi vedere che si tratta del bisontino bianco che si nasconde?”, disse alla lepre, “Andiamo a prenderlo,” e si mise a correre.
“Aspetta,” disse la lepre, ma Scoiattola che Vola, che come tutte le bambine ci metteva una gran furia nel fare le cose, non l’ascoltò nemmeno. Dovete sapere che quella macchia non era proprio bianca-bianca come il latte, ma piuttosto marroncina chiara come una nocciola. Soprattutto, non era un bisontino bianco che si nascondeva dal puma, ma un grosso puma ben acquattato in attesa che la sua preda passasse di lì per saltarle addosso. Succede spesso così, che si vedano delle lucciole e che le si scambi per delle lanterne.
Non appena Scoiattola che Vola fu a tiro, il puma spiccò un gran balzo da sotto il cespuglio, facendo un ruggito così spaventoso che tutti gli uccelli del bosco sentirono all’improvviso un gran freddo e si zittirono immediatamente.
“Lo Zufolo,” urlò la lepre, “suonalo!”
Scoiattola che Vola prese lo zufolo e fece appena in tempo a suonare un firulì, senza neanche il tempo per un firulà, che un bisontino bianco apparve dalla foresta, così veloce che sembrò che fosse uscito da sottoterra. Il bisontino andò a colpire con le sue cornicine il puma, che si girò di scatto e prese a inseguirlo.
“Le frecce”, fece la lepre, “presto!“
Scoiattola che Vola incoccò all’arco e scagliò tutte e sette le sue frecce. Due colpirono il puma alle zampe davanti, due alle zampe di dietro, due colpirono le orecchie e l’ultima s’infilò sulla punta della coda.
“Basta, per carità!”, ruggì il puma, e sparì nella foresta da cui non è più uscito e, se ne è uscito, nessuno lo ha visto.
La bambina e la lepre presero il bisontino per le corna e lo portarono in cima a un’altissima montagna, dove c’era sempre una grande nuvola in cui entrò il bisontino.
“E’ tornato dal Grande Spirito”, disse la lepre, “ed è ora che parta anche io.”
“Come,” fece Scoiattola che Vola, “non vieni con me dalla mia tribù?”
“Fossi matta!”, rispose la lepre, “Non voglio mica finire al tegame.”
E anche lei, la lepre dalle orecchie lunghissime e dalle zampe lunghissime, sparì dentro la nuvola.
“Aspetta!” urlò Scoiattola che Vola, “Non ti ho nemmeno ringraziata!”
Troppo tardi: la lepre era sparita e, nel punto esatto dove era sparita, una cordicina usciva dalla nuvola. Scoiattola che Vola la tirò e attaccato all’altro capo c’era un bellissimo pony. In groppa al cavallino, Scoiattola che Vola galoppò per giorni e giorni attraverso foreste e praterie, finché non raggiunse la sua tribù.
Grande Acero, suo padre, organizzò una grandissima festa con danze e braciole che andò avanti tutta la notte. Lo stregone Pentola Borbottante persino sorrise, una cosa che nessuno gli aveva mai visto fare prima.
“Dov’è Nuvola che Non Piove?”, chiese Scoiattola che Vola, che non vedeva il giovane cacciatore festeggiare.
“Era così pentito d’aver causato tutto quel pasticcio che un giorno se n’è andato. Adesso vive da solo in cima alla montagna,” gli rispose suo padre.
Scoiattola che Vola s’è poi sposata, ha avuto tanti bambini e vive felice, ma ogni tanto pensa a Nuvola che Non Piove e alla lepre dalle orecchie lunghissime e dalle zampe lunghissime, e le piacerebbe avere con loro delle altre avventure.

mercoledì 24 ottobre 2007

Limerick

Tanti anni fa, nell'isola di Zante,
faceva acrobazie un elefante.
Si mise in verticale,
cascò e si fece male
e un brutto terremoto scosse Zante.

domenica 21 ottobre 2007

PAZIENZA

C’era una volta un babbo che girava per la casa urlando: “Dov’è? Dov’è?”
La sua figliola lo vide e gli chiese: “Dov’è cosa?” “Spostati, non vedi che mi stai tra i piedi?!”, disse il babbo sgarbatamente, e si mise a cercare dentro un armadio tirando fuori tutti i vestiti e buttandoli un po’ sul letto e un po’ per terra. Lasciò poi la stanza tutta in disordine e s’infilò per il corridoio: “L’ho perduta! Sono perduto!”
La moglie accorse dalla cucina: “Cos’hai perso?” Il marito neanche l’ascoltava. Prendeva tutti i libri dalla libreria, li apriva e li gettava per terra, facendone dei mucchi che sembravano collinette di carta, su cui la bambina, che era sì un po’ spaventata, ma a cui tutta quella confusione metteva anche un tantinello d’allegria, s’arrampicava come la capre s’arrampicano su per le montagne.
Non aveva ancora finito di buttare i libri per terra, che l’uomo andò in cucina a svuotare il frigorifero, poi in bagno dove prese tutte le cose che stavano nella specchiera e le gettò nel lavandino, poi corse in giardino e si mise a scavare con la vanga, spiantando i fiori e i cespugli. Tornò in casa e prese giacche e cappotti dall’attaccapanni, frugando nelle tasche di ciascuna. “Dov’è? L’ho persa!”, ripeteva in continuazione.
Mentre cercava tra i giocattoli della bambina, vide con la coda dell’occhio una zampetta che usciva da sotto il letto.
“Sei lì, birichina!”, disse, e tirò fuori da là sotto un animaletto peloso con dei grandi occhi dolcissimi, che si chiamava Pazienza.
Adesso che l’aveva ritrovata, si vergognò un po’ di tutti gli sgarbi che aveva fatto e della voce grossa. Diventò rosso come il succo di pomodoro e disse alla moglie e alla figlia, con voce bassa: “Scusate, avevo perso la pazienza. Mi perdonate?”
“Solo se rimetti tutto a posto”, gli disse la moglie. E lui, con Pazienza, rimise a posto tutto.

venerdì 12 ottobre 2007

TOPI E FORMAGGI I

Topolina, topolina,
cosa cerchi giù in cantina?
“Mi son fatta assai coraggio
per cercare del formaggio.”

Ma se il gatto Bradamante
poi ti prende tra le zampe
e con il tuo bel codino
si vuol fare uno spuntino?

“Con i gatti non mi spaventi:
sono troppo grossi e lenti.
Quando il gatto m’è vicino
scappo nel mio bucanino.”

Ho capito, pantegana,
tu mi mangi tutto il grana.
“E il gruviera, e ancora peggio,
mangio chili di taleggio.”

domenica 7 ottobre 2007

Ulisse

Ulisse viaggiava per tornare a casa, ma più viaggiava e più se ne allontanava, e finiva col visitare luoghi sempre più distanti e strani. Scriveva delle lettere per sua moglie Penelope e per suo figlio Telemaco, le metteva dentro un vaso, lo tappava ben bene che non entrasse l’acqua e lo faceva scivolare in mare, sperando che le onde lo portassero a Itaca, la sua isola.
Una volta aveva scritto: “Mi trovo nell’isola degli uomini-con-la-testa-di-cane”, ma la lettera, invece di arrivare a Telemaco, era finita all’isola degli uomini-con-la-testa-di-gatto, che la lessero e si spaventarono tantissimo. Affondarono le loro barche e giurarono che non avrebbero più navigato per il mare, non avesse voluto il destino che incontrassero qualche orrido uomo-con-la-testa-di-cane.
C’era un isola in cui tutte le correnti arrivavano e nessuna la lasciava. Tutta l’acqua veniva inghiottita da delle grotte scavate sulla scogliera e sprofondava sottoterra, nessuno sapeva bene dove. Ulisse cercava di spedire i vasi con le sue lettere, ma la corrente glieli faceva ritornare tutti indietro. In compenso, gli arrivavano vasi da naviganti sperduti in ogni dove, con pergamene che dicevano:
“Sono in un paese dove non c’è mai la notte e per questo le case non hanno la camera da letto,”
oppure
“La mia nave s’è arenata in un posto dove c’è sempre notte e la gente tiene pipistrelli invece che canarini nelle gabbiette.”
Un giorno gli arrivò un vaso con scritto:
“Sono in un’isola dove non arriva nessuna corrente, ma tutte la lasciano. Al centro dell’isola c’è una grande sorgente d’acqua che viene da sottoterra, nessuno sa bene da dove, che forma dei grandi torrenti che scendono a mare facendo delle grandi onde che spingono via i vasi con le mie lettere, ma che impediscono alle lettere che mi vengono scritte di raggiungermi.”
Quando si trovava in mezzo al mare sulla sua nave, Ulisse gettava in acqua dei vasi con delle lettere dolcissime per Penelope. Non sapeva che le sirene li rubavano e li portavano in fondo al mare, per leggere le sue lettere d’amore e sospirare, riempiendo l’abisso di bollicine.