venerdì 26 dicembre 2008

Banchetto di Natale

Maria era incinta, quando a lei e a Giuseppe fu ordinato di mettersi in marcia per la piccola città di Betlemme, dove avrebbero dovuto registrarsi presso l'Ufficio del Censimento Romano. Giuseppe caricò Maria sull'asino e partirono.
Fu un viaggio lungo, ma la sera del terzo giorno arrivarono finalmente a Betlemme. Maria, come tutte le donne incinta, aveva una gran fame e girarono per il centro in cerca di un posto in cui mangiare. Furono indirizzati alla Pizzeria Bella Napoli, ma era già piena di gente arrivata in paese per il censimento e non c'era neanche posto per mangiare in piedi. La pizzeria Vesuvio aveva addirittura finito la pasta per la pizza e aveva chiuso prima del tempo. La pizzeria Posillipo non aveva nemmeno aperto, perchè il pizzaiolo era andato a farsi censire in Galilea, da dov'era immigrato, e la pizzeria Amalfi era chiusa per le vacanze invernali.
"Ma io ho fame," si lamentò Maria con Giuseppe.
"Ho solo queste tre rape," rispose Giuseppe dopo aver frugato nella tasca della tunica.
"Pazienza, magerò quelle," disse Maria, e prese a sgranocchiare le rape.
Dopo poco tempo, Maria fece un urlo e si premette la pancia: "che male, Giuseppe!"
"Per forza, hai mangiato le rape crude!" fece lui.
"Ma no, scioccone, questo è Gesù che ha deciso di venire fuori," disse lei sorridendo, "andiamo a cercare un albergo e una levatrice per il parto."
La levatrice la trovarono, ma con gli alberghi furono sfortunati come con le pizzerie: tutti pieni di gente tornata al paese dagli angoli più remoti dell'impero.
Gura che ti rigira, trovarono, proprio al centro del paese, una stalla diroccata, chiusa da una cancello senza lucchetto. Entrarono e si prepararono per il parto.
La levatrice stava con Maria, mentre Giuseppe eseguiva i loro ordini andando a cercare acqua, scaldandola e lavando pezze di panno.
Cercando qualcosa che assomigliasse a una culla, Giuseppe trovò un bue appisolato. Prese la greppia da cui il bue mangiava, le diede una ripulita e la riempì di paglia.

Avevano appena finito di lavare Gesù, che sentirono bussare alla staccionata. Giuseppe andò a vedere e si trovò di fronte a tre signori riccamente vestiti, con servitori che tenevano per le briglie i loro cavalli e dei dromedari carichi di casse.
"E voi chi siete?"
"Siamo dei Re Magi," risposero loro. "Siamo arrivati qui seguendo una stella cometa che, secondo i nostri calcoli, doveva portarci dove sarebbe nato Salvatore, il Re degli Uomini. C'è qui un Re di nome Salvatore?"
"No," rispose Giuseppe, "qui c'è solo un bambino di nome Gesù".
"Si vede che i nostri conti non erano del tutto corretti," dissero loro entrando, "abbiamo comunque dei doni per lui."
"C'è qualcosa da mangiare, tra quei doni?" chiese Maria, che aveva ancora più fame di prima.
"No, abbiamo delle cose ben più preziose: oro, incenso e mirra."
"Pazienza", disse Maria, "e grazie comunque per questi preziosi regali".

Quella notte tutti dormivano a Betlemme, e non sentirono un angelo che volava cantando: "E' nato il Salvatore! Andate nella stalla a Betlemme!"
Lo sentirono però i cani dei pastori che dormivano sulle colline intorno al paese con le loro greggi, e iniziarono ad abbaiare furiosamente.
"Che succede? I ladri!" urlavano i pastori svegliandosi ai latrati dei loro cani, ma invece dei ladri trovarono questo angelo che cantava.
'Ieri sera ho bevuto troppo,' pensava un pastore mentre l'angelo annunciava l'avvento del Salvatore.
"E chi sarebbe questo Salvatore?" chiedevano all'angelo.
"Il Re degli Uomini," rispondeva lui battendo le ali fermo sul posto.
"E il Re degli Uomini nasce in una stalla?" insistevano increduli.
"Proprio così," diceva l'angelo,
"Secondo me quest'angelo non ha tutte le rotelle a posto," diceva un pastore.
"Ma non vedi come vola?" obiettava un altro, "dobbiamo tutti scendere in paese e cercare la stalla," concludeva un altro risolutamente.

Betlemme avea delle stradette tutte strette, che in breve tempo si riempirono di pecore. Una signora che si svegliò, s'affacciò alla finestra e vide i vicoli di Betlemme che sembravano pavimentati di lana bianca, e in mezzo alla lana galleggiavano i pastori, i loro somari carichi e i soliti cani che abbaiavano. 'E' nevicato proprio tanto stanotte', pensò la signora scambiando la lana per neve, e tornò a dormire sotto le coperte.
Alcuni pastori avevano raggiunto la stalla diroccata. "E' qui che è nato Salvatore?"
Giuseppe pensò che qualcuno doveva aver fatto uno scherzo: "No, quì c'è solo il piccolo Gesù, col babbo e la mamma."
"Ve lo dicevo, io, che l'angelo non aveva tutte le rotelle a posto," brontolò il pastore di prima.
"Non fa niente, noi siamo venuti ad adorare il bambino nato in questa stalla." Presero dei dono dai loro asini ed entrarono.
"Avete qualcosa da mangiare?" chiese Maria.
"Certamente, signora: siamo pastori!" Mostrarono i loro doni: carne, formaggi, sacchi di lana.
Giuseppe e i magi, aiutati dai pastori, improvvisarono un lungo tavolo con le assi del tetto. I pastori accesero il fuoco per la griglia. In poco tempo, erano tutti seduti a tavola, con Maria a capotavola e Gesù saldamente attaccato alla sua mammella.
I pastori portavano in tavola i loro cibi: costine d'agnello fritte in olio d'oliva, stufato di montone allo yogurt, grandi forme di pane, rotolini di pasta con le verdure, anfore di vino, carciofi al tegame, cosciotto di pecora...
"Molto meglio questo cibo, delle delicatezze che mangiamo sempre a palazzo," gioivano i Re Magi brandendo dei coscioti d'agnello arrosto.
"Posso avere un pò di vino?" chiedeva Maria.
"Non ti rovinerà il latte?" protestava Giuseppe.
"La sua signora ha molto faticato, stanotte. Un bicchiere non può che farle bene," concluse un pastore, versandole il vino dall'anfora.
E bachettarono insieme, Magi, pastori, Maria, Giuseppe, servitori e levatrici, finchè non arrivò l'alba.

venerdì 12 dicembre 2008

L'uomo-lupo 3

L'uomo disse che doveva andare a fare un bisognino, poi avrebbe ripreso il racconto. Non andò nel bagno dell'osteria, ma verso l'uscita. "Sarà uno di quelli a cui piace fare la pipì all'aperto," pensai.
Non appena uscì, si sentì un cane abbaiare, poi un altro, e di seguito una successione di cani sempre più lontani nella vallata. Dopo un pò s'udì uno stridio, a metà tra il rumore di un'unghia strisciata su una lavagna e una finestra che gira velocemente sui cardini poco unti. L'uomo rientrò con il suo strano passo, mettendo qualcosa dentro la bisaccia che portava a tracolla del suo cappotto. Dalla sacca usciva una specie di fazzoletto nero, che l'uomo spinse subito dentro. Mentre la cosa nera spariva, mi parve di riconoscerla come un'ala di pipistrello. Evidentemente, l'impressione del racconto mi aveva suggestionato.

Mio padre fece quello che aveva detto. Quattro lupacchiotti li diede a un pastore per stare dietro alle greggi, mentre uno, il più sano e robusto, lo tenne per sè, pensando di addestrarlo alla caccia.
In quello stesso periodo, conobbe una donna del paese. Si sposarono e lei rimase incinta. Le visite della lupa si facevano via via più rade. Era arrivato poi un autunno molto freddo e, pensavano tutti, più che dei cuccioli perduti doveva occuparsi di trivare preda a sufficienza.
Passarono così i mesi dell'inverno, arrivò e trascorse la primavera e, poco prima del parto, mio padre ebbe uno strano incontro. Una notte si svegliò con la gola secca per la sete e lo stomaco pesante e, aprendo gli occhi, si vide in faccia il muso della lupa. Gli stava con le quattro zampe puntate sul corpo e con la bocca aperta, le labbra tirate e i denti bene in vista.
"Ora mi uccide," pensò mio padre, che sapeva bene come la lupa, con un solo morso, avrebbe potuto recidergli la gola. La lupa, invece, rimase immobile per un lungo tempo, guardandolo fisso negli occhi. Poi si spostò verso mia madre, che lì di fianco dormiva senza accorgersi di nulla, e le leccò il pancione.
Mio padre, ripresosi dal terrore, s'alzò per difendere la moglie, ma la lupa balzò via e sparì dalla finestra, così velocemente che lui pensò di aver sognato.
Quando mia madre partorì, il figlio era tutto peloso, con due grosse narici, unghie spesse, piedi lunghi e, ciò che era più orribile, lunghi denti canini. In un neonato! Quel bambino, lo avrà forse intuito, ero io.
La gente del paese, conoscendo tutta la storia, disse che era la maledizione della lupa; ma mio padre rispondeva che erano tutte scemenze. Dissero che la lupa era venuta a riprendersi i figli nella pancia di sua moglie; e mio padre cominciò a dubitare. Suggerirono che, vedendo i suoi lupacchiotti in mano all'uomo, la lupa aveva preso un uomo e lo aveva fatto diventare lupo; e mio padre, che non vedeva la peluria cadere, che sentiva mia madre urlare quando mi allattava, che più tagliava le unghie, più le queste ricrescevano lunghe e robuste, decise di restituire i lupacchiotti alla loro madre.
Andò dai pastori e li pagò molto più di quanto non avesse ricevuto da loro per riavere indietro i quattro lupacchiotti, oramai grandicelli. Il suo cucciolo, però, lo volle tenere. Perchè ci si era affezionato; in odio alla lupa; perchè -pensava- "una lupa saprà contare anche fino a quattro, ma certamente non fino a cinque."
In effetti, dopo che mio padre riportò i quattro cuccioli il mio aspetto divenne più simile a quello degli altri neonati. I peli caddero; le unghie, una volta tagliate, ripresero a crescere più tonde e delicate; quando vennero su gli altri denti da latte, i canini non si notarno più di tanto.
Rassicurato, mio padre riprese la caccia, che aveva trascurato per quasi un anno, facendosi sempre accompagnare dal suo giovane lupo. Insieme trascorrevano lunghe giornate, da prima dell'alba a sin dopo il tramonto. Il lupo lo adorava e imparava: puntare, riportare, cercare la preda nel folto della macchia.
Un giorno andarono fino in alta montagna, su per ripide pietraie e lungo sentieri scavati a metà di ripide pareti di roccia. Proprio mentre stavano lungo uno di quei sentieri, mio padre iniziò ad arrampicarsi verso un nido di falco abbastanza accessibile, mentre il suo lupo-cane lo attendeva nervoso più in basso. Da lì mio padre vide arrivare la lupa, che stava percorrendo proprio quel sentiero, ed ebbe un brutto presentimento.
Il giovane lupo non riconobbe la madre, ma una preda come un'altra e gli si scagliò contro. La lupa, più esperta, finse una fuga e, non appena il lupo gli fu alle spalle, si voltò con sorprendente velocità e lo azzannò appena sotto la gola.
In quello stesso momento, riconobbe dall'inconfondibile odore che si trattava del suo quinto cucciolo. Perse ogni desiderio di combattere, lasciò la presa e suo figlio, prendendo il sopravvento, le fu subito addosso. Nella mischia, la lupa scivolò e precipitò nel precipizio.
Mio padre, intanto, era ridisceso sul sentiero. Chiamò il suo lupo addomesticato e tornò verso casa.
Da quel giorno, la mia trasformazione cessò lì dov'era arrivata. Le dita dei miei piedi rimasero troppo lunghe e questo mi costringe a zoppicare. Forse è per questo che, anche se sono cresciuto in questo paese, non posso dire di avere dei veri amici, neanche adesso che sono vecchio.
Ma io mi arrangio lo stesso e, se vuole dare un contributo a questo mio arrangiarmi, lasciarmi un qualche soldo per pagarmi un bottiglione di vino, vorrà dire che questa mia storia non l'ha lasciata indifferente.


"Ma certo, certo": tirai fuori il portafolgi e gli allungai una delle mie poche banconote. Lui la prese, se la mise in tasca e s'alzò dal tavolo. "Grazie mille signore, grazie mille."
Allontanandosi verso la porta, tirò fuori la cosa nera dalla bisaccia e prese a sgranocchiarsela. Non ho mai voluto sapere di cosa si trattasse.
Quella notte dormii con la porta chiusa bene a chiave e la mattina dopo, poco dopo l'alba, l'omino che m'aveva portato in paese mi riaccompagnò al mio treno per il mare.

lunedì 8 dicembre 2008

L'uomo-lupo 2

Mio padre non era di qui; ci passava ogni anno vendendo attrezzi e comprando pelli, lana e formaggio. La sua passione, però, era la caccia: caccia per mangiare, caccia per le pelli, caccia su commissione da parte dei contadini per proteggere i pollai da volpi e faine; caccia per il solo gusto di uccidere, come con falchi e poiane. S'inerpicava su per le pietraie a caccia di aquile, in mezzo a grandi radure invase dai rovi in cerca del cinghiale, giù per il letto dei torrenti alla ricerca dell'orso, la preda più ambita.
Un pomeriggio, quasi al tramonto, seguendo le impronte di un daino su per una fosso secco in mezzo al bosco, si trovò di fronte a una grossa lupa. La lupa, al contrario di quanto fanno sempre i lupi, non scappò. Si trovava in mezzo al fosso, appena sopra mio padre.
Mio padre m'ha raccontato tante storie di caccia, e ogni volta che le raccontava c'era qualcosa di diverso: il cervo era più lontano, le anatre nel carniere dieci volte tante; ma la storia del suo incontro con la lupa me l'ha detta sempre con le stesse parole; le stesse pause, persino.
La bestia si trovava appena sopra di lui, e ringhiava furiosamente. Lui imbracciò il fucile e prese la mira, ma la lupa ancora non scappò, né attaccò. Iniziò invece a guaire, a fare un guaito assai simile -diceva mio padre- al pianto di un neonato in lontananza. Per un attimo esitò: sparare subito o aspettare e vedere cosa sarebbe successo dopo?
In quell'attimo, la lupa s'acquattò sulle zampe posteriori e balzò, passandogli sopra di una buona spanna. Quando si girò, era già sparita nel bosco.
Fu in quel momento che mio padre sentì un altro guaito, più debole, provenire dalla scarpata del torrente. Scostò alcune frasche e vide, in una buca lì scavata, un'intera cucciolata di piccoli lupi. "Ecco perché non scappava: la madre temeva per i suoi cucciolotti." Pensò un attimo sul da fare, poi tirò su i cucciolotti, che erano cinque, li mise nel carniere come fosse una culla e se li portò via, pensando che uno avrebbe potuto addestrarlo per la caccia, gli altri venderli a dei pastori per fare la guardia al gregge.
Lungo la via del ritorno, sentiva di tanto in tanto un rumore di foglie calpstate, ora dietro a lui, ora davanti, a destra o a sinistra. "Seguimi pure, mamma; i tuoi cuccioli ormai li hai perduti per sempre."
Arrivato alla locanda, a quel tempo era proprietà del padre di Orfea, disse di mettere i cuccioli nel pollaio e di chiuderlo ben bene, perchè quella notte la lupa sarebbe passata per riprenderseli; e così fu. Fino all'alba si sentì ululare e guaire, di madre e di figli; e un gran grattare alla porticina del pollaio.
La mattina successiva, però, i cuccioli li si trovò lì dove li avevano lasciati, e della lupa erano rimaste solo le tracce a terra: un gran ghirigoro di cerchi, di veloci ritirate in linea retta verso il bosco, di zampe ben puntate prima d'un salto contro la porta.
"Ti conviene fare degli altri cuccioli, mamma, perché questi non li rivedrai mai; e qualora t'incontrassero, quando saranno addestrati da caccia o guardia, ti converrà tenerti alla larga da loro."


Questa storia, devo dire, m'aveva affascinato. Chiesi alla signora Orfea un'altra caraffa di vino, riempii il bicchiere dell'uomo col cappotto e lo pregai di continuare.

venerdì 5 dicembre 2008

L'uomo-lupo 1

Leggere è bello perchè distrae, ma a volte la distrazione ha conseguenze che non riusciamo a controllare.
Mi trovavo col mio zaino in una grande e affollata stazione, in attesa del treno che mi avrebbe portato a una località di mare per passare qualche giorno di vacanza con alcuni amici. In attesa del treno regionale in ritardo al binario 10, me ne stavo appollaiato sullo zaino a leggere un libro d'avventura, che parlava di esplorazioni in terre lontane, piene di misteri e pericoli. "Ah, come sarebbe bello se io stessi prendendo un battello a pale che mi portasse all'interno della foresta pluviale, invece che il treno che mi porterà a una spiaggia pigiata da milioni di turisti," pensavo tra me e me. Sentii l'altoparlante gracchiare qualcosa, ma non ci feci caso. Poi vidi diverse persone vestite con camicie a fiori avviarsi verso il sottopassaggio, da cui venivano in direzione contraria persone che indossavano i soliti abiti di chi va al lavoro. Dopo pochi minuti arrivò un trenino con tre vagoni stinti e arrugginiti e salii. Ben presto m'addormentai. Mi svegliai solo quando il treno arrivò all'ultima stazione della linea: una casetta con l'intonaco scrostato, da cui partiva una stradina sterrata, in un paesaggio chiuso da alte montagne coperte di pascoli e boschi.
Un omino che stava uscendo dal treno, l'ultimo dei pochi passeggeri, m'assicurò che, no, non si trattava della stazione di Santa-Maria-al-Mare, ma di quella di Selva-di-Valle-Buia. Temendo di rimanere solo in quella stazione isolata, chiesi all'omino di darmi un passaggio in paese, dove, mi assicurò, avrei potuto passare la notte in attesa del treno che mi avrebbe riportato, il giorno dopo, alla grande stazione cittadina, e quindi al mare.
Mentre l'omino mi portava al paese guidando il suo furgone per una strada tutta a tornanti, chiamai i miei amici col telefonino dicendo loro che, per qualche stranissimo errore delle ferrovie, ero finito in un isolato posto di montagna invece che al campeggio dove avrei dovuto raggiungerli. E mentre dicevo questo, capii cos'era successo: il gracchiare dell'altoparlante diceva che il treno per il mare era stato dirottato su un altro binario, per questo i viaggiatori vestiti da vacanza avevano lasciato la banchina; mentre le persone provenienti dal sottopassaggio erano quelli che dovevano prendere il treno su cui ero salito io per sbaglio, ed erano scesi uno dopo l'altro alle stazioni sparse lungo la linea ferroviaria, tranne me e l'omino che mi stava conducendo al paese.
"Lì può mangiare, e hanno anche delle stanze per dormire," mi disse l'uomo lasciandomi di fronte a una drogheria-bar. Lo ringraziai e entrai nel locale buio e, mi sembrò, anche abbastanza puzzolente di legno marcio, di cavolo stufato e di sigarette fumate nel tempo in cui nei bar si poteva ancora fumare.
Nel locale c'erano solo l'anziana barista, un paio di giovani boscaioli e, seduto a un tavolo in angolo oscuro, un uomo infagottato in un cappotto fuori stagione, che non appena mi sentì entrare si girò con la faccia rivolta un pò all'insù; più che per guardarmi, sembrava, per annusarmi.
La signora aveva un modo di fare spiccio, ma non del tutto sgarbato. Mi assicurò che la notte avrei potuto dormire lì senza pagare una fortuna e mi promise che la mattina successiva suo nipote m'avrebbe riportato alla stazione. Ero proprio fortunato, mi disse, perchè aveva appena riscaldato la zuppa di cotiche di maiale e verza che aveva preparato pochi giorni prima. Non era proprio la cena leggera a base di pesce fresco e insalata che m'ero immaginato prima di partire, ma bisognava accontentarsi.
Non appena mi fui seduto al tavolo di fronte al tegame di cotiche e verza, l'uomo col cappotto s'alzò e venne dalla mia parte. Zoppicava, sembrava, da entrambe le gambe. "Disturbo?" chiese sedendosi senza attendere la mia risposta.
"Lascia stare il giovanotto!" urlò dal bancone la barista.
"Non ti preoccupare, non te lo mangio mica il tuo turista," le ringhiò dietro lui.
"Vuole favorire?" gli chiesi spostando verso di lui il tegame troppo pieno.
"Grazie", disse lui, e rivolto alla donna: "Orfea, portami un piatto."
Mise nella sua ciotola una mestolata di cotiche, poi iniziò a ripulirle pazientemente da ogni più piccolo frammento di verza. "Un cibo da pecore!" diceva tra sè e sè rimettendo le verdure nel tegame, "Pecore!". Mi sembrò che, pronunciando la parola "pecore" gli occhi gli brillassero quasi di gioia.
Mangiammo in silenzio, lui si bevve un litro di vino almeno, poi mi guardò storcendo la testa dal basso in alto:
"Questo è un posto sfortunato dove la gente arriva solo per sbaglio. Quanto sfortunato, lei non può saperlo ed è meglio che non lo sappia."
E io, in verità, non avevo nessuna voglia di saperlo, ma lui continuò a parlare e mi raccontò questa storia.

martedì 18 novembre 2008

Segnalazione: l'angolo di Annarita


Con gusto, competenza e l'esperienza di una scrittrice (!), Annarita, nel suo angolo, recensisce libri e film per bambini: consigliato a tutti i genitori.

sabato 15 novembre 2008

Indovina il nome

E' la generalizzazione di Indovina il numero. Uno pensa un nome comune (di cosa, animale, pianta, o astratto) e l'altro deve indovinare ponendo domande a cui si risponde sì o no. Credo che sia un gioco classico. In famiglia è in voga da qualche giorno, nelle passeggiate serali.
La strategia migliore sta nel trovare dicotomie abbastanza trancianti da avviare la mente verso l'individuazione del nome. "E' vivente?" è una buona prima domanda, "è un gatto?" un pò meno.

Mi chiedo se una dicotomia sia buona quando taglia a metà quantitativamente l'insieme dei possibili nomi (ma stabilire quantità tra i nomi è difficile: ci sono tanti nomi di viventi quanti ce ne sono di non-viventi?). O se la taglia semanticamente, secondo una qualche frontiera naturale per il nostro modo di pensare (e quindi, nostro di chi? degli umani? degli europei? dei bambini?).

sabato 8 novembre 2008

Videogiochi immaginari


Passeggiando sotto i portici con Angelica, facendo attenzione alle cacche canine lì lasciate a mo' di mina antiuomo e ai piccioni in agguato, abbiamo progettato un nuovo videogioco. Io l'avrei chiamato "PORTICI", ma lei preferisce un diretto "CACCHE".
L'omino del videogioco deve percorrere un portico bolognese, saltando (freccia in alto) le cacche di cane che incontra per terra ed evitando quelle che i piccioni appollaiati sui tiranti d'acciaio sganciano dall'alto. Pericoli speciali sono costituiti da (i) pitale gettato in strada dalla signora che s'affaccia alla finestra sotto il portico; (ii) deiezione equina che un cavallo parcheggiato al lato del portico -dopo breve avvertimento in forma di coda che si alza- spara alzo zero sotto le colonne.
Ci servono suggerimenti per i bonus: come acquistare punti, vite e tutto ciò che fa di un percorso pericoloso un videogioco completo?

sabato 1 novembre 2008

My life as a limerick III

Una ranocchia verde di Maremma
Oltre che gracidar facea la mamma.
Sua figlia la rospetta
Le disse per burletta:
“Di farmi un bel girino ho già in programma!”

Roby

venerdì 31 ottobre 2008

Limerick d'occasione

Ministra all'istruzione ha il Belpaese
un avvocato single calabrese:
"Perché il popolo raglia?
Si salvi l'Alitaglia!"
E taglia l'ali e i sogni al Belpaese.

My life as a limerick II

Un’ archivista di Firenze bassa
Di filze e carte sciolte avea una cassa.
Le dove’ tutte schedare,
Poi con cura restaurare.
E smise su due piedi di fare la smargiassa.

Roby

mercoledì 29 ottobre 2008

My life as a limerick I

Una papirologa di Peretola
Trova un papiro che si sgretola.
Lo decifra tra i detriti,
Poi ci legge Nefertiti:
E al sol d’Egitto beata si crogiola

Roby

domenica 26 ottobre 2008

Indovina il numero

Si gioca in due (ma cambiando di poco le regole si può giocare anche in tre o quattro). Il giocatore A deve pensare un numero da 1 a 100 (o altro intervallo numerico) e il giocatore B deve indovinarlo andando a tentativi. Se B dice "x", il giocatore A deve dire se il numero che ha pensato è proprio "x" o se è maggiore, o minore di "x". Ogni tentativo di B vale un punto per A, ogni mossa "sbagliata" di B vale cinque punti per A. Quando B ha finalmente indovinato, si riprende a parti invertite. Vince, diciamo, il primo che fa 21 punti.

Esempio.
B. 34
A. Minore. [Un punto per A]
B. 15
A. Maggiore. [Un punto per A]
B. 40
A. Mossa sbagliata (perchè già sapevamo che il numero era minore di 34). [Cinque punti per A]
B. 27.
A. Indovinato!

Varianti e regole ulteriori. Per garantire l'onestà di A, si può chiedere che scriva il numero su un foglietto, da controllare alla fine. In una variante, il gioco ha senso anche se A può barare e cambiare il numero a seconda delle risposte di B, ma coerentemente con le indicazioni date in precedenza. In poche mosse, comunque, B può costringere A "nell'angolo".

Domanda. Qual'è il numero massimo di mosse che impiega un giocatore astuto per indovinare il numero x, posto che sia compreso tra 1 e 100?

giovedì 23 ottobre 2008

Limerick

Un pomodoro circense di Nola
volle mostrare la sua perizia a scuola,
restando col basilico
sulla padella in bilico.
Fallì e si trasformò in pommarola.

mercoledì 22 ottobre 2008

Ninna nanna II

FILA fila filastrocca
anche oggi metto bocca,
sbocconcello un po' qua e là
tra spinaci e baccalà,
tra una fetta di prosciutto,
le patate e il riso asciutto,
la frittata di zucchine,
il merluzzo senza spine,
pasta pane ribollita,
mangio tutto con le dita
(poi le lavo col sapone
e le asciugo col cotone).
A Livorno c'è il cacciucco
tutto pesce senza trucco.
A Bologna mortadella
la merenda mia più bella.
A Firenze con il Chianti
son felici tutti quanti.
A Palermo, che cannoli!
Sono buoni anche da soli!
A Verona un bel pandoro...
...buonanotte e sogni d'oro!!!!

Roby

sabato 18 ottobre 2008

Infinito

Sulla via della scuola, Angelica e io discutiamo dell'infinito. Io ho in mente l'esempio che già le avevo fatto: i numeri sono infiniti, perchè, qualunque numero lei mi dica, posso aggiungerne uno (infinito potenziale). Aggiunge lei: "Anche il girotondo è infinito, perchè non si può dire chi sia il primo e chi l'ultimo."
L'esempio è bello e ha un retrogusto zen: "chi è il primo del girotondo?" "Viene prima il mezzogiorno o la mezzanotte?" E' anche collegato all'attuale dibattito cosmologico.



Per i lettori molto esigenti.

Tecnicamente non si tratta di infinito, visto che stiamo parlando di quantità finite, comunemente incontrate nei cortili e nei parchi, anche se dell'infinito (di alcuni tipi di infinito) ha la proprietà di non aver inizio,fine.
Ecco, per i passanti interessati, un breve glossario dei termini usati dai matematici contemporanei per districare questo tipo di faccende.
Infinito. Si usa per lo più per indicare la quantità di oggetti contenuti in un insieme. Galileo (diciamolo con patriottico orgoglio) se ne venne fuori con la prima definizione operativa di infinito: un insieme A ha un numero infinito di elementi quando possiamo etichettare gli elementi di A utilizzando gli elementi di una sua sottoclasse. Per esempio, i numeri interi possono essere etichettati dai numeri pari:
0->0
2->1
4->2
...
2n->n
Illimitato. Il concetto si riferisce non al numero di elemtni di un insieme, ma alla misura di un'estensione (di spazio, di tempo...). Una ragione di spazio è illimitata se in essa si trovano coppie di punti aventi distanza arbitrariamente grande. Le regioni illimitate dello spazio contengono infiniti punti, ma esistono regioni limitate che pure contengono infiniti punti (almeno idealmente).
Giordano Bruno fu il primo, almeno in epoca moderna, a ipotizzare che l'universo fosse illimitato (anche questo andrebbe orgogliosamente ricordato). Prima di Bruno si credeva che l'universo fosse limitato da una grande sfera, in genere identificata con quella delle stelle fisse: una frontiera invalicabile al di là della quale era lecito (lontano dalle pericolose orecchie dell'Inquisizione) immaginare ogni sorta di presenza extra-universale.
Varietà compatte senza bordo. Si tratta di enti geometrici limitati (nel caso bidimensionale, di superfici) con la proprietà che, da qualunque punto su di essi, ci si può muovere in qualunque direzione (sempre su di essi) di una lunghezza qualsiasi, senza con ciò uscire dalla superficie. Si pensi, per esempio, alla superficie della sfera.
Che le cose potessero stare diversamente sia da come le immaginava Bruno, che da come le si era immaginate prima, è una conquista moderna. I modelli bidimensionali, comunque, non mancavano. Immaginate esseri intelligenti bidimensionali che abitino una grande superficie sferica. Essi possono muoversi ovunque senza mai uscire dalla sfera. Come possono sapere di essere in un universo limitato? Supponiamo che il pianeta Xuz sia posto sul Polo Nord della sfera e che un avventuroso esploratore parta in direzione Sud sulla sua astronave. Dopo un certo tempo, la sua astronave avrà doppiato il Polo Sud e ritornerà al Xuz nel punto opposto a quello da cui era partito. Il suo cervello bidimensionale non potrà raffigurarsi la forma del suo universo, ma potrà comunque fare dei conti su di esso (per esempio, calcolarne il diametro). Al momento c'è un'accesa discussione sulla forma dell'universo, nonchè sulla sua limitatezza o meno.
Il girotondo, una circonferenza, è sostanzialmente l'unico esempio di varietà compatta senza bordo unidimensionale.
Le varietà compatte senza bordo sono oggetti sostanzialmente finiti, ma che hanno in comune con l'idea generale di infinito la proprietà di non avere una frontiera oltre la quale non si può procedere.
Regioni aperte. Questi insiemi sono in un certo senso all'opposto delle varietà compatte con bordo, e hanno a che fare col tipo di infinito che avvantaggia le tartarughe nelle loro gare contro i velocisti greci. Sono porzioni di spazio (o di piano, o di retta) che, magari limitate in estensione, non hanno però una frontiera. Per esempio, lo spazio intermedio tra l'arco e il bersaglio: la frontiera è data, per l'appunto, dall'arco e dal bersaglio, che NON fanno parte dello spazio intermedio. Di qui il paradosso studiato dai greci: a un certo punto la freccia ha percorso metà dello spazio intermedio, successivamente avrà passato metà di quello rimanente, e così via. Raggiungerà mai la freccia il bersaglio?
Le regioni aperte, anche se limitate, hanno infiniti punti.

E poi ci sono altre manifestazioni dell'infinito, che ci porterebbero forse troppo lontano.

lunedì 13 ottobre 2008

Limericks e favole X

Fece un'orsa d'Alaska di Bethel
un igloo di cassate a zia Ethel:
voleva la zia
che -persi per via-
arrivassero li' Hansel e Grethel.

Limericks e favole IX

Tre re dell'isola di Santorini
le mani han nel ragu' fino ai polsini.
Un cameriere attonito
(respinge a stento il vomito)
osa pensar: "Ecco i re porcellini."

sabato 11 ottobre 2008

Limericks e favole VIII

Un gigante di Castiglion Fibocchi
infestato dal capo fino agli occhi
da mille falegnami
coi loro figli strani,
la testa si grattava dai Pinocchi.

giovedì 9 ottobre 2008

Ninna nanna I

Filastrocca del cugino
ora fatti un sonnellino,
filastrocca della nonna
dormi bene e pure sogna,
filastrocca della mamma
russa tutto il pentagramma,
filastrocca del papà
s'addormentan tutti qua,
filastrocca della zia...
...fila a nanna e così sia!

da Roby

sabato 4 ottobre 2008

Palla prigioniera

Palla prigioniera è un gioco per ragazzi che prevede la divisione in due squadre. Si gioca su un campo abbastanza grande, rettangolare, di circa 15 x 8 metri, diviso in quattro fasce di grandezza diversa, due più piccole ai confini e due più grandi al centro; in queste ultime si posizionano alternati i componenti delle due squadre a inizio partita. Le squadre devono essere composte da almeno quattro giocatori ciascuna. Si nominano due capitani, e con il metodo di pari e dispari questi dovranno disputarsi il diritto di scegliere i componenti della squadra e di giocare per primi.

A turno, uno dei componenti di una squadra dovrà cercare di colpire un avversario o più, lanciando una palla con le mani, senza superare con i piedi o con le braccia il confine che divide i due campi. Il tiro viene convalidato solo se il pallone non urta né una parete né il terreno prima di colpire un avversario. Quando un avversario viene colpito dal pallone si deve spostare nella zona dei "prigionieri", che sta esattamente nella fascia più piccola, dietro ai giocatori dell'altra squadra. L'obiettivo della partita è catturare tutti o la maggior parte degli avversari, se si pone un tempo massimo. Se dopo un tiro la palla viene presa al volo da un giocatore della squadra avversaria, sarà colui che ha tirato la palla ad andare nella zona prigionieri.

da wikipedia




Il gioco della palla prigioniera è uno dei più famosi e coinvolgenti giochi da cortile, un classico al livello di Guerra e Pace, come tutti i classici minacciato d'oblio da una società che ha blindato i suoi figli in una clausura elettronica. Rispetto ad altri giochi è notevole la complessità delle regole, causa di infinite contestazioni, che però non lo rendono meno cinetico ed emozionante. Si può immaginare che esso sia nato nei grandi giardini all'italiana delle corti europee, o nelle fiere campestri che si tenevano in occasione di particolari feste religiose, o nelle piazze d'armi dei reggimenti di fanteria rinascimentali. Comunque sia, non ha l'aspetto di un gioco nato nel mondo dei bambini, ma di un gioco che s'è "bambinizzato" e che ai bambini e alla loro cultura di trasmissione orale deve la sua sopravvivenza.
Vorrei qui lanciare, senza straccio d'indizio o prova, un'ipotesi diversa sull'origine del gioco, che si basa sulla sua flebilissima somiglianza con un elemento del nostro comune patrimonio euroasiatico.
Si tratta, in breve, delle battaglie tra diversi contingenti di streghe, o di predestinati, descritte da Carlo Ginzburg nei suoi Benandanti, in un contesto tutto friulano, e poi studiate con più ampio respiro di spazio e di tempo in Una storia notturna. Il gioco si basa su due regole: la battaglia di due fazioni e le due possibili condizioni d'ogni giocatore, che dividono ciascuna fazione in due sottosquadre. I "liberi" sono pienamente vivi, mentre i "prigionieri" hanno, per così dire, "un piede nella tomba": sono vite a metà, utili ancora al gioco di squadra, ma non contribuiscono alla sua sopravvivenza.
Ora, nel complesso di credenze agrarie studiato da Ginzburg in Friuli, bande di anime predestinate (i "benandanti"), uscendo nel sonno dai loro corpi in forma di topolino, si sarebbero recate -per secoli, in date particolari- a combattere con analoghe bande d'altri paesi, o con schiere di streghe, tutti i contendenti essendo amati di sole verghe di finocchio selvatico. La vittoria avrebbe garantito il raccolto. E qui c'è la prima, generica, analogia col gioco della palla prigioniera, che è scontro alla pari tra squadre.
Ma Ginzburg segue pure il sottotema dell'anima che esce dal corpo, o meglio, della reincarnazione in altra forma, arrivando, a migliaia di anni e di chilometri più lontano, a credenze sciamaniche, poi sopravvissute in varia forma un pò ovunque nel mondo. Vi si tratta d'un animale da preda, le cui ossa vengono rinchiuse nella sua pelle e riprendono vita; ma una vita imperfetta, più debole, sterile. E questa resurrezione imperfetta, un ritorno dalla morte, ma "in prestito", è proprio quello che avviene ai "prigionieri" del gioco.

Limericks e favole VII

Orfana ballerina di Nonantola,
con la matrigna perfida e tarantola,
calzata di cristallo
lui conquistasti al ballo,
mentre d'invidia l'altra, a cena, rantola.

mercoledì 24 settembre 2008

Cene da streghe

Conoscevo una volta un padre e una figlia. Quando la figlia faceva qualche pasticcio, il padre urlava "Santa Polenta, che maldestra!" A volte, però, la parola 'maldestra' gli sfuggiva, e diceva solo "Santa Polenta! ..." E mentre cercava la parola dimenticata, la figlia rispondeva prontamente: "Saltami addosso!" E così, il più delle volte li si sentiva dire "Santa Polenta, saltami addosso!"
Incuriosito da quella strana frase, chiesi loro di raccontarmi da dove venisse. In risposta, mi raccontarono una storia.


Alla cena delle streghe, per passare il tempo in compagnia, a volte si fanno delle strane gare. Una volta, per esempio, le streghe si sfidarono a chi riuscisse a fare le cose più straordinarie col cibo che c'era in tavola.
La strega che iniziò aveva di fronte a sè un piatto di spaghetti. Pronunciò una parolina magica e, stregoneria!, gli spaghetti iniziarono a muoversi come serpentelli e si sparsero tra i piatti, per poi sparire giù per le gambe del tavolo. Le altre streghe applaudirono convinte.
Una seconda strega, vegetariana, disse la formuletta segreta al suo piatto d'insalata. Le foglie verdi s'alzarono in volo con movimenti di farfalla e si diressero elegantemente verso la finestra. "Ohohoh!", esclamarono le altre streghe, commosse e deliziate.
Poi venne una strega, questa carnivora, che aveva nel piatto un mezzo posteriore di pollo e la metà anteriore d'un coniglio. Unì i due pezzi di carne, li colpì con la bacchetta magica, e una strana creatura, mezzo pollo e mezzo coniglio, saltellò da una strega all'altra, macchiandole tutte d'olio. "Che schifo! Che meraviglia! Che bravura! Che orrore!"
Tante altre streghe fecero delle magie col pane, con la zuppa, ce ne fu una molto applaudita con l'acqua. Venne poi il turno di una strega che aveva ordinato polenta e salsiccia. Levò le braccia, mormorò delle parole in una lingua sconosciuta e tutta lapietanza si mise in movimento. La salsiccia s'alzò in piedi nel suo sugo, si rivolse verso la polenta appollaiata nell'altra metà del piatto e gridò: "Santa polenta, saltami addosso!"
Per tutta risposta, la polenta s'alzò come un'onda di mare, avvolse la salsiccia e la divorò.

lunedì 15 settembre 2008

Limericks e favole VI

Un tamburino bizzarro di Brema
quattro bovini maschi comprò a Crema:
a ritmo li bacchetta,
così una musichetta
gaia va col suona-tori di Brema.

domenica 14 settembre 2008

Zampe e teste

Ecco qui alcune varianti sull'antico tema: contare le zampe degli animali. Si tratta di piccoli giochi coi numeri sperimentati in questi ultimi giorni con mia figlia, a cui non piace un granché andare a scuola, ma che si diverte a contare.
Nella versione diretta del gioco si pongono domande del tipo: "Hai due gatti e tre galline; quante zampe ci sono?"
Però si può rovesciare la domanda: "Hai dei gatti e delle galline; come li scegli per fare otto zampe?" Questa variante inversa è un po' più difficile e, in genere, la soluzione non è unica. Nell'esempio, possiamo prendere un gatto e due gallina; ovvero quattro galline: o due gatti.
Alla non unicità della soluzione si rimedia facendo entrare in gioco le teste. "Sempre con gatti e galline, devi ottenere otto zampe, ma impiegando tre teste." Né due gatti, né quattro galline: l'unica soluzione è avere un gatto e due galline.
Se il bambino o la bambina sono pronti ad affrontare qualche frustrazione, si può dar loro qualche problema impossibile. Per motivi di parità, tale è il problema di ottenere cinque zampe (a meno di non poter utilizzare, per esempio, gatti invalidi). Sostanzialmente per lo stesso motivo, non si produrranno ventidue zampe utilizzando gatti e ragni. Diverso è il motivo per cui, avendo gatti e galline, non possiamo ottenere quattordici zampe con tre teste.
Un problema simile, ma con un diverso ordine di astrazione, chiede di produrre dieci zampe con gatti e galline, utilizzando il minor numero di animali.
E via andando, tirando dentro mosche e ragni per avere più varietà di situazioni.



Per i lettori molto esigenti.

Un cenno sulla teoria soggiacente. Il problema di trovare un numero X di gatti e uno Y di galline che diano -p.es.- dieci zampe si formalizza con

4X+2Y=10.

Si tratta di un'equazione di primo grado con due incognite, e molti penseranno: 'ah, ha infinite soluzioni!' Invece no, perchè -ovviamente- non accettiamo mezzi gatti e quarti di gallina (non siamo in macelleria!), ne' galline negative. Vogliamo che X e Y siano numeri interi, non negativi, e questo riduce le soluzioni a un numero finito.

Quando inroduciamo il conto delle teste, aggiungiamo un'equazione. P.es., dodici zampe e quattro teste diventa:

4X+2Y=12 e X+Y=4.

Questo sistema di due equazioni in due incognite non può avere più d'una soluzione.


Finisco con una nota storica. Equazioni come quelle che soggiacciono al giochino vennero studiate estesamente da Diofanto d'Alessandria, matematico d'epoca ellenistica. In generale, diofantee sono le equazioni di qualsiasi grado di cui si cercano soluzioni intere. Quest'ultima richiesta è quella che rende la teoria delle equazioni diofantee assai complessa e lungi dall'essere completa.
Un esempio: non esistono numeri interi positivi X,Y e Z tali che la somma dei cubi di lato X e Y uguagli il volume del cubo di lato Z. Si tratta d'un caso particolare del celebre ultimo teorema di Fermat.


mercoledì 3 settembre 2008

Limericks e favole V

Un fornaio di Napoli a Gonzaga
trovò una russa, vecchia e un poco maga.
Le fece, per amore,
le paste col liquore.
Le offrì dicendo: "Mangi'o' babbà, Yaga."

giovedì 28 agosto 2008

Grazie per il premio!

Annarita, che ringrazio, m'ha omaggiato di questo premio:



L'onore comporta alcuni oneri:

1. al ricevimento del premio, bisogna scrivere un post mostrando il premio e citando il nome di chi ti ha premiato, evidenziando il link del suo bloglive;

2. scegliere un minimo di 7 bloglive (o di più) che credi siano brillanti per temi e/o design; evidenziarne dunque il nome e il link;

3. avvisare i premiati che sono stati nominati per il premio “Brillante webloglive”;

4. facoltativo: esibire la foto (o il profilo) di chi ha premiato e di chi viene premiato nel tuo bloglive.

Ecco i miei 7 favoriti del momento (Annarita esclusa, che non vorrei che poi si dicesse che...). Nota: non si tratta di altri blog rivolti a genitori e bambini.
abbracci e popcorn
nonblog di habanera
zena roncada
akatalepsia
lavoretti (barbara)
oyrad
personalitaconfusa

(1 e 2: fatto. 3: da fare. 4: c'era scritto li', che era facoltativo.)

mercoledì 27 agosto 2008

Fumetti d'agosto: Pieter Bruegel

Solimano, da abbracci e popcorn, 15 agosto 2007



Al Kunsthistorisches Museum di Vienna c'è la più importante raccolta delle opere di Pieter Bruegel, basta ricordare i Cacciatori nella neve, il Banchetto nuziale, la Danza di contadini. C'è anche un quadro, i Giochi di fanciulli, che fra tante altre cose, è considerato una vera e propria "enciclopedia dei giochi dei ragazzi fiamminghi" (Hulin de Loo).
Le sue dimensioni tutto sommato non sono grandi (118 x 161 cm), ma si sono contati sinora 84 giochi infantili, quasi tutti ancora praticati, e sì che ne è passato del tempo dal 1560, anno in cui Breugel lo terminò.
Il problema di Pieter Brueghel era del tutto analogo a quello che si era presentato a Gaudenzio Ferrari per la cupola di Saronno: rappresentare in uno stesso spazio molti esseri (là angeli, qui fanciulli), che svolgono attività simili ma ognuno con le sue individuali caratteristiche. Ancora un paginone, per venire al termine che nel Novecento si è cominciato ad usare per un'opera del genere nel mondo dei fumetti.
Bruegel approfitta abilmente di due opportunità a sua disposizione: la pittura ad olio su tela, che gli consente una finezza nei particolari altrimenti impossibile, e la costruzione in prospettiva attorno alla piazza di un paese fiammingo in cui si svolgono gli 84 giochi (ancora la piazza, come Lorenzo Lotto!). La prospettiva è importante perché evita l'affastellamento e la dispersività, e dà coerenza al tutto.
Si sono cercate tante interpretazioni, sui Giochi di fanciulli di Bruegel: chi ha scritto di significati alchemici, chi di un ciclo sulle età dell'uomo, chi (addirittura!) di una allegoria del mondo folle e peccaminoso. Ci sarà certamente del vero, pittori come Lotto, Ferrari e Bruegel era tutto tranne che degli sprovveduti, ma se ci mettessimo di fronte a questa opera come ci mettiamo di fronte ad un bel paginone a fumetti fatto da un disegnatore che amiamo, non sarebbe meglio?
Ci perderemmo volentieri nei singoli particolari, uno per uno, per poi tornare soddisfatti alla visione d'insieme, evitando così di sovrapporre il nostro io pedante (che ha un po' del grillo parlante) a opere che affrontate in questo modo diverrebbero facili da capire e molto gratificanti, perché qui, in mezzo ai bambini che giocano, ce n'è certamente qualcuno che fa il gioco che piaceva di più a noi, si tratta solo di individuarlo fra gli ottantaquattro.








Una curiosità. Credo di aver capito perché i libri di storia dell'arte parlino a volte più di "ometti" che di "bambini". Basta guardare un particolare di un altro quadro che sta a Vienna, la Danza di contadini (particolare che porto qui sotto). Davanti al suonatore di cornamusa una ragazzina più grande insegna a ballare ad una bimbetta. Ma le scambiamo per donne, perché come donne sono vestite, non da bambine. E così è anche per i ragazzi dei Giochi di fanciulli. Per questo li chiamano "ometti": per noi i bambini e le bambine vestono in modo diverso rispetto agli adulti, per Pieter Bruegel e per il suo mondo non era così.

mercoledì 20 agosto 2008

Limericks e favole IV

Cannuccia, shampoo e acqua del Ticino,
fa bolle senza sosta il mio bambino:
volano sferiche
leggere e angeliche;
l'han soprannominato Bollicino.

Ovvero,

Cannuccia, shampoo e acqua della Drina,
fa bolle senza sosta la bambina:
volano sferiche
leggere e angeliche;
l'han soprannominata Bollicina.

venerdì 8 agosto 2008

Limerick

Un uomo povero di Catanzaro,
per vivere vendè il suo somaro.
Ma il pentimento amaro,
o amor del suo somaro,
l’asino ricomprò a Catanzaro.

martedì 27 maggio 2008

Giochi per giornate piovose II

Animali, città, attori e cantanti

E' la versione casalinga del Saltinmente. Si scrivono su un foglio le lettere dell'alfabeto in ordine sparso, ognuna inscritta in un cerchio, e a turno i giocatori -ad occhi chiusi- puntano la penna sul foglio: la lettera così prescelta sarà l'iniziale obbligata di una serie di parole (animali, città, attori, cantanti, film, canzoni e...tutto quel che vi viene in mente! ), da scrivere in colonna, ciascuno sul proprio pezzo di carta. Ogni nome (corretto) trovato vale 10 punti, 5 se è stato pensato anche da uno o più degli avversari. Esempi classici: un animale con la N? Il Nibbio, o il Narvalo, o la Nottola (anche se nessuno ha mai visto uno dei tre!). Un fiore con la A? Acacia (anche se c'è sempre qualcuno che protesta: Non vale! Quello è un albero!) Una città con la D? Che domande! DOMODOSSOLA!!! (Anche se la scrivono sempre tutti, e così
il punteggio scende. Ma che importa? L'importante è stare in compagnia e divertirsi alla buona! O no?)

Roby

Giochi per giornate piovose I

Lui, lei, dove sono, cosa fanno

1. Si prendono dei fogli di carta normali (tecnicamente detti A4) e li si dividono in tre o quattro lunghe strisce.
2. Ogni giocatore ha la sua striscia, in cima alla quale inizia con lo scrivere il nome di un LUI (che può essere un attore, un cantante, un personaggio storico o fiabesco, un amico di famiglia), dopodichè ne ripiega un pezzetto, in modo da nascondere il nome appena scritto, e la passa al giocatore alla sua destra, ricevendo in cambio quella del giocatore alla sua sinistra.
3. Ora, sempre senza farlo vedere agli altri, ognuno scrive il nome di una LEI, poi arrotola il lembo e passa il tutto a lato.
4. Stesso procedimento, scrivendo DOVE SONO i due innamorati (es.: al mare, al cinema, in cantina, in cima all'Everest, sull'autobus, ecc.)
5. Idem: COSA FANNO (es.: si baciano, si prendono a schiaffi, si tagliano le unghie, leggono la Divina Commedia, dormono, cantano, ballano, ecc.)
6. Idem: COSA DICE LUI (es.: "Amore, sei bellissima", "Ti puzza l'alito", "Dovresti canbiare pettinatura", "Mi piaci anche se hai gli occhi storti", ecc.)
7. Idem: COSA DICE LEI (es.: "Smetti subito di grattarmi la schiena", "Vai a comprarmi un gelato", "Adoro i tuoi riccioli biondi", "Mi dispiace, amo un altro", ecc.)
8. Idem: COSA DICE LA GENTE (es.: "Se non son matti non li vogliamo" -un classico!-, "Che bella coppia!", "Datevi all'ippica che è meglio", "Il mondo è bello perchè è vario", ecc.)
9. Finale del gioco: al termine dell'ultimo giro di scrivi-arrotola-e-passa, ognuno srotola la striscia che ha in mano e legge il raccontino così ottenuto. Risultati esilaranti garantiti, se si è avuta l'accortezza di scegliere come LUI e LEI personaggi tipo il Principe Azzurro e la Befana, Brad Pitt e la regina Elisabetta, Indiana Jones e Camilla Parker Bowles, collocandoli opportunamente in luoghi del tutto improbabili come il Paradiso, il Castello della Bella Addormentata, la Camera dei deputati a Montecitorio o la villa di Berlusconi ad Arcore.

Roby

sabato 24 maggio 2008

Svaghi per lunghi viaggi in automobile II

Ecco alcuni degli intrattenimenti più popolari sull'auto che mio padre conduceva, più spesso che no, sulla tratta Milano-Ravenna.
1) "Saltare il 3". Si dicono i numeri a turno, ma si devono saltare i multipli di 3 e i numeri che contengono la cifra 3: 1,2,4,5,7,8,10,11,14,16,17,20,22,24...
2) Risalire alla provincia dalla targa dell'auto (gioco estintosi con la riforma delle targhe).
3) Salutare gli altri automobilisti, o far loro le corna (sconsigliato in quest'epoca così poco incline al sorriso).
4) Leggere un bel libro (e dopo poche pagine fermarsi a vomitare sul guard-rail per il mal d'auto).
5) Dire delle parole a turno: la parola che segue deve iniziare con l'ultima sillaba della parola precedente; non sono ammesse ripetizioni di parole: to-po. po-co, co-modi-no, no-stro, stro... (risolini dal sedile posteriore).
6) Durante il viaggio in auto i bambini, in assenza d'altro da fare, sono più ricettivi verso la comunicazione verbale. Se volete spiegar loro le sottigliezze del sistema copernicano, il fatale errore di Napoleone a Waterloo o la vera storia di nonna Isolina, quello è il momento giusto.
7) L'intrattenimento principe, comunque, era la storia improvvisata. Si iniziava da uno spunto a caso, per esempio un gatto che attraversava perigliosamente la strada, e da lì partiva una lunga narrazione che -miracolo- si concludeva con la punizione dei malvagi e la felicità dei buoni proprio all'inizio dello sterrato che portava all'aia della zia Sarina.

mercoledì 21 maggio 2008

Contrari

E’ arrivato qui magari
un giochino di contrari.

Dico largo e per dispetto
ecco che rispondi …

Dico alto, contrappasso:
il contrario suo è …

Dico sì, ma tu però
mi rispondi con un …

Dico brutto, proprio quello,
e tu invece dici …

Dico bianco, ma davvero,
tu invece lo vuoi …

Dico buona e m’arriva
la risposta tua: …

Dico lento e la ta voce
mi risponde: “Vai …”

Dico magro e, basso basso,
tu mi dici “No, è …”

Dico lungo e per conforto
mi rispondi invece …

Dico “Piccole mutande”,
dici “No, mutanda …”

E’ pesante, non è vero?
No, mi dici tu, è …

Io ti dico: guarda in su,
e tu invece guardi in …

Dico dietro e, Numi Santi!,
tu ti muovi e vai …

A sinistra c’è la maestra,
i bambini son tutti a …

Dico “Fuori”: ho fatto centro?
No, perché tu dici “…”

Io dico sopra, ma tu dal salotto,
mi dici, mi dici… mi dici …

Guarda che dritto il bastone che porto.
“No, caro babbo, il bastone è tutto …”

A chi ci fa del male lo leghiamo alle catene,
ma diamo un bel bacino a chi ci fa del …

Se sono vicino, fò ciao con la mano,
oppure ti scrivo se sono …

Non me ne vengono in mente di più,
gli altri contrari inventali tu.

domenica 11 maggio 2008

Filastrocche brevi

Filastrocca corta corta,
sei iniziata e sei già morta.

Filastrocca un po’ più lunga,
prima che io ti raggiunga,
scappa via!, che non ti punga.

Filastrocca senza fine,
dimmi cose assai carine.
Dimmi delle puledrine,
delle spighe ritte e chine
alla brezza ballerine,
delle rose senza spine
regalate alle bambine.
Parla, parla senza fine.

mercoledì 7 maggio 2008

Limerick

Sfortu-gatto di Càsola Canina,
nascosto notte e dì nella cantina,
fài la valigia
e il piede pigia
in direzion di Càsola Topina.

lunedì 5 maggio 2008

Svaghi per lunghi viaggi in automobile I

Il viaggio famigliare in auto è un luogo universale della modernità, a esorcizzare il quale sono stati inventati: l'autoradio, il gameboy portatile, lo schermo televisivo sullo schienale del sedile. Però, la monotonia stessa del viaggio fa sì che i bambini siano altamente ricettivi e concentrati e, in assenza di alternative, vogliosi di dialogo e svago coi genitori. Il viaggio in auto è quindi il momento ideale per improvvisare cori montani, raccontare storie, dare insegnamenti morali, divertirsi con i giochi di parole. Tutte attività che, tra l'altro, impediscono al conducente di addormentarsi.
Uno dei giochi automobilistici preferiti da mia figlia è una improvvisazione musicale sui numeri, che può andare avanti anche per diverse centinaia di chilometri. Il motivo musicale ce lo mette il genitore di turno, l'animale da contare viene scelto dopo breve trattatativa, le situazioni vengono improvvisate secondo l'estro del momento. Il figlio o la figlia devono indovinare il numero da mettere al posto di "?".
Ecco un esempio.

"Non avevo nessuna pecora,
ne compro 5 al mercato;
di...?"
5
"...pecorelle
che cosa me ne farò?"
"Avevo 5 pecorelle,
altre 3 le ho trovate sperdute in un bosco;
di...?"
8
"...pecorelle
che cosa me ne farò?"
"Avevo 8 pecorelle,
ma una s'innamora di un pecoro incontrato lungo la strada,
così se ne va via con lui;
di...?"
7
"...pecorelle
che cosa me ne farò?"
"Avevo 7 pecorelle,
arriva un lupo
che ha una fabbrica di maglioni di lana
e me ne compra 2;
di...?"
5
"...pecorelle
che cosa me ne farò?"
"Avevo 5 pecorelle,
ma poi mi accorgo che una di esse non è una pecorella, ma uno yak tibetano dal pelo bianco,
di...?"
4
"...pecorelle
che cosa me ne farò?"

...e così via, in calando e in crescendo...

sabato 26 aprile 2008

Struzzi

Corrono inciampano struzzi
venite a vedere gente
i grandi e famosi struzzi
struzzi dagli occhi gentili.
Codeste enormi galline
non volano e corrono enormi
corrono beccano ingollano
però volare non sanno.
Con le lor corte ali
tentano invan spaventarmi
ma nel sentiero sassoso
terreno assai accidentato
non vedo cose giganti
non vedo condor furenti
non vedo struzzi volanti
vedo inciampare frementi
tre o quattro struzzi cadenti.

Emilio Gauna, da nonblog

martedì 22 aprile 2008

Bradipo

Ed è tipico del bradipo
quel suo movimento statico:
non si muove e non dà adito
a sospetti o congetture
Lento e solenne s'arrampica apatico
sempre sul volto un sorriso simpatico
il suo costume di vello e di muschio
caldo lo copre dal male e dal rischio
"Non mi muovo", e non si muove;
non si vedon cose nuove,
anche il mondo è molto bradipo.
Tutto intorno il sole muove
l'universo fa sonare
la memoria universale
E' gran merito del bradipo
il non dar comunque adito
a sospetti o congetture.

Emilio Gauna, da nonblog

mercoledì 16 aprile 2008

NUVOLE

“Nuvolone spinto dal vento,
dove vai così contento?”

Vado a nasconder la luna che sfoggia
la sua falcetta e porto la pioggia
sopra i campi e le città
e sulla bimba che a parlarmi sta.

“Ma se prendo l’aereoplano
e sopra ti volo piano piano,
non ritorno a veder tutto,
luna e stelle, ed è anche asciutto?”

E vedrai anche, se guardi sotto,
noi nuvoloni che, otto a otto,
senza motore e senza elica
andiam veloci verso l’America.

“Ma è proprio in America che voglio andare
con la mamma a ritrovare
il babbo che un giorno via è volato
e non è ancora ritornato!”

giovedì 13 marzo 2008

Limerick

Un cane quasi umano a Pantigliate
Credeva, lui, di far delle risate.
Digrigna a più non posso,
dai denti cade l’osso,
e ora piange un cane a Pantigliate.

domenica 2 marzo 2008

Gabbianella solitaria

“Gabbianella solitaria,
cos’hai visto volando in aria?”

Ho visto il cielo, ho visto il mare,
ho visto le barche che vanno a pescare.
C’era una nave con una grande elica
che porta la gente fin qui in America.
Ho visto il sole, la luna e le stelle:
arrivo qui seguendo quelle.
Di notte ho dormito sopra le onde,
di giorno volavo sulle nuvole tonde.
Ho visto pesci di tutti i colori
e ne ho mangiati di tutti i sapori.
Ma dimmi un po’, uomo barbuto,
posso darti qualche aiuto?

“Se vai in Italia, gabbianella,
porta i saluti ad Angelica bella,
che si trova a Toscanella.
Dille che il babbo è qui che l’aspetta,
lei, la mamma e la zia Etta.”

martedì 19 febbraio 2008

NUVOLE (commedia per ombre cinesi)

Personaggi. Bambina, nuvola-pecorella, un nuvolose tempestoso, una nuvola-lupo, una nuvola-osso, la nebbia, un nuvolino, due fiori, il sole, il vento e svariate nuvole di passaggio.

Una bambina sta sdraiata su un prato a guardare le nuvole che passano. Il sole sta a Sud. Passano nuvole di varie forme.

B. Nuvolone, nuvolacchie
Nel cielo mi sembrano grandi macchie.
Nuvolette, nuvoline,
nuvole sempre, senza fine.
Quella mi sembra un cavallo bianco,
ora la segue un vecchio stanco.
Ecco le nuvole pecorelle,
che fanno piovere a catinelle.
Nuvole piatte, nuvole spesse,
quella pareva che ridesse.

Per un po’ il cielo è sgombro. Il sole si sposta verso Ovest e inizia a tramontare. Appare una nuvoletta a forma di pecorella.

B. Nuvola-pecora solitaria,
che ci fai da sola in aria?

N. Son così triste, la voce non regge:
temo d’aver perduto il mio gregge.

E infatti la nuvola si mette a piangere, cioè a piovere. La bambina si rifugia sotto un grande ombrello.

B. Nuvoletta, vederti non posso:
mi stai tutta piovendo addosso.
Se smetti, forse ti posso aiutare:
ho visto le tue sorelle passare.

N. Dici davvero, bella bambina?
Ma potevi dirmelo prima!

B. Te lo dico in poche parole:
stavano andando verso il sole.

N. Verso il sole… fammi guardare…
E’ di là che devo andare!

B. Ferma, aspetta, ho sbagliato;
questo sole s’è spostato!
Era di qua, era di là…
Ahi, dov’era non si sa!

N. Ma quand’è che son passate
Quelle nuvole pecorellate?

B. Dunque, credo fosse intorno
A ora di pranzo: era mezzogiorno!

N. Bene! Il sole a mezzodì
Ha l’abitudine di stare lì.
Se parto le trovo, ci conto,
anche prima del tramonto.

Intanto è apparso un grande nuvolone temporalesco con la faccia arrabbiata.

N.one. Nuvola nana, sgombra il passo
Al gran nuvolo Gradasso.

N. Ehi, che maniere, aspetta un secondo:
non sei il solo a questo mondo.

N.one. Spintone, fulmine, tuono, lampo,
chi sta in mezzo non ha scampo.

Scoppia un temporale con fulmini e tuoni. La bambina cerca di nascondersi.

B. Vattene via, mi fai paura.

N. Vento, buttalo in spazzatura.

Arriva il Vento, che soffia lontano il nuvolone. Prima che la bambina e la nuvola possano riprendere fiato, appare in lontananza una nuvola-lupo.

N.Lupo. Ah, me giocondo!
Grassoccia e bella
Vedo là in fondo
Una pecorella.
Vado, corro, non mi scappa,
ho trovato la mia pappa.

B. Guarda là in fondo quel nuvolo cupo.

N. Aiuto! Aiuto! E’ il nuvolo lupo!
E’ troppo veloce: scappare non posso.

B. Le getteremo una nuvola-osso.
Farò bollir d’acqua un pentolino
Per far nascere un nuvolino.

La bambina accende il fuoco sotto un pentolino. Ne esce una nuvoletta a forma di osso che vola via veloce.

N.Lupo. Bell’ossicino, non scappare!
Fatti prendere, fatti mangiare.

La nuvola-lupo parte all’inseguimento della nuvola-osso e spariscono insieme all’orizzonte.

B. Lupo, lupo, scivola via,
lascia star l’amica mia.

Tutt’a un tratto non si vede più niente. E’ arrivata la nebbia.

Nebbia. Quando mi stendo sopra Toscanella
Cancello tutto:sole, luna, stella.
Ricordati il mio nome,
io sono il nebbione
e vengo a ricoprire Toscanella.

B. Cos’è successo?
Che è questo fumo spesso?
Giro in torno e cammino a caso,
non vedo più neanche il mio naso!

N. Amica mia,
è la foschia:
nasce dal fosso
e già c’è addosso.

B. E come cacciar via questo orrore?

N. Proviamoci con il ventilatore.

La bambina prende un ventilatore e lo accende. La nebbia inizia a spostarsi.

Nebbia. Ehi, ferme, non spingete!
Senza di me come farete?

N.&B. Faremo, faremo, non preoccuparti;
e ora vorremo salutarti:
ciao, ciao!
Maramào!

Finalmente la nebbia s’è dissolta.

N. Certo che ne abbiamo viste di belle!
Bisogna, però, che passi quei monti
Molto prima che il sole non tramonti:
se voglio trovare le mie sorelle.

B. Nuvola, prima che tu vada via,
ti darò un po’ di compagnia.

La bambina riaccende il fuoco sotto il pentolino. Stavolta ne esce una nuvoletta sorridente con faccia da bambino che sale a fare compagnia alla nuvola-pecorella.

B. Nuvoletta, torna a trovarmi.

N. Certo, bambina: basta chiamarmi.

Le due nuvole vanno via ridendo. Ridono fino alle lacrime, scaricando un po’ di pioggia su due fiori appassiti che, non appena vengono bagnati, risollevano la testa e sorridono.

lunedì 18 febbraio 2008

Lopix e Lupettonina


Una notte Lopix disse al suo miglior amico:- Sono stufo di stare sempre qui!
Voglio viaggiare!!- Ma, amico mio, cosa dici ! Qui ci troviamo bene, il cibo non manca e poi là fuori ci sono troppi pericoli! Sei disposto ad affrontarli?- Lopix testardo, rispose:- Lo so, il mondo è enorme, ma io lo voglio visitare finché posso. Poi , non siamo soli ,nel mondo ci sono molti lupi.
Fai come vuoi ! ci vediamo ciao!
A malincuore la madre, quando seppe della sua decisione, lo lasciò partire.
Così Lopix lasciò il suo branco e partì.
Mentre camminava si accorse subito di essere seguito: era una lupa del branco nemico. La salutò con tono amichevole e si presentò. Io mi chiamo Lopix , so che sei del branco nemico, ma questo non significa che non possiamo essere amici giusto?- La lupa rispose : Ciao , mi chiamo Lupettonina e hai perfettamente ragione , possiamo essere amici anche se gli adulti spesso sono nemici, giusto? Comunque dove vai di bello? Io voglio girare il mondo; sin da piccola mi è sempre piaciuto viaggiare e per questo ho lasciato il mio branco.-
Lopix rispose:- che coincidenza! Anch’ io amo viaggiare! E anch’ io ho lasciato il mio branco! Tu che ne dici se facciamo strada assieme? Ci faremo compagnia!- la lupa rispose :-è un’ ottima idea.
Andiamo dai!- disse Lopix

In quel momento si accorsero che incominciava a nevicare ed insieme si rifugiarono in una caverna lì vicino.
Appena in tempo perché stava venendo giù una vera e propria bufera di neve. Meno male, aggiunse Lopix, se non fosse stata per questa caverna non saremmo ancora vivi. Ma guarda cosa ho trovato, nel dir questo mostrò a Lopix un fiore bellissimo. Tutto rosso e rosa con tre magnifici petali a forma di cuore. I giorni passarono ma non smise neanche per un secondo di nevicare . Lopix disse preoccupato :- le cose si mettono male! Che si fa?- Lupettonina gli rispose : pensala da ottimista!
Vedrai che presto smette :- guarda il cielo si sta rasserenando! Ehi!
Ma che succede guarda il fiore cosa sta facendo ! Sta, come dire, mettendo un altro fiore. Ed il seme è a forma di cuore lo terrò con me. –ma Lopix disse:- ma non puoi, ragiona non vivrebbe.
Così Lupettonina dovette arrendersi e lasciare lì il suo seme.
Insieme si addentrarono nell’interno della grotta ma Lopix tremava per la paura, avrebbero potuto incontrare un orso .
Lupettonina, subito lo rassicurò dicendo che se ci fossero stati gli orsi, questi avrebbero già attaccato. Così, mentre piano piano camminavano alla ricerca di un angolo per riposarsi , notarono che la grotta era di cristallo e le loro immagini si moltiplicavano all’infinito: era uno scenario bellissimo! Una luce flebile che veniva dall’alto rischiarava appena il cammino da fare. Così decisero di proseguire il viaggio verso nord est. Lungo la strada trovarono l’acqua e qualche pesce. Sarebbe bastato un focherello e il pasto era assicurato. Soddisfatti e contenti, nel silenzio della grande caverna , il sonno stava per raggiungerli,
quando sentirono il respiro affannoso di un animale. Si guardarono intorno e videro un orsetto bianco che stava dormendo lì vicino . Presi dal terrore stavano per scappare, quando l’ orso si svegliò di scatto e chiese loro cosa facessero lì . Così i due giovani lupi raccontarono all’ orso tutta la loro storia dall’inizio convinti di aver trovato un altro amico.



venerdì 25 gennaio 2008

La Storia di Tino





C'era una volta nel Paese dei topi, un topino piccolo piccolo, di nome Tino. Era tutto coda, tanto che nel correre finiva sempre per annodarsi come un pacco postale.







I topi più grandi erano sempre pronti a prenderlo in giro: “Ehi, Tino ci presti la tua coda per giocare al tiro alla fune”?
E giù risate da matti, mentre Tino, con la coda mogia, mogia, si allontanava.







Nessuno , però, poteva immaginare che quel soldo di cacio dalla coda lunga fosse un grande viaggiatore notturno, capace di affrontare nei suoi sogni avventure incredibili.
Una notte, finì nello spazio, un’altra in Africa con gli animali più strani e feroci della terra. Insomma per lui, svegliarsi la mattina, sano e salvo nel suo letto, era sempre una scommessa.















Tino Topino, annuiva con un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
Ma dentro di sé pensava: Macchè formaggio… Io sono un grande esploratore e anche stanotte vivrò un’avventura straordinaria..”







Detto questo si posava la lunga coda sugli occhi ed attendeva impaziente che il sonno lo portasse via, lontano da quel letto e da quella stanza.








Una notte Tino si ritrovò in un posto veramente strano: non riusciva a vedere altro che alberi e piante.
Camminò per tutto il giorno sotto un sole cocente, ma di case e paesi, di topi e gatti, neppure l’ombra.







Alla fine stanco per tutto quel camminare si gettò privo di forze per terra. Credeva di essere finito sopra una collinetta piena di sassi a punta, messi tutti in fila uno dietro l’altro.
A star seduto lì, sentiva un gran male e così piagnucolando pensò alla sua mamma che gli aveva raccomandato di sognare tanto buon formaggio.







Così si rialzò e incominciò a salire quella strana fila di sassi, che a lui sembravano gli scalini di una scala.







Giunto sul punto più alto della collinetta, col fiatone che gli impediva di respirare si rimise a sedere; questa volta sopra un sasso scuro, piatto e un pò rotondo.
Stranamente , però, era pure umido. Mah! Pensava. Dove sono finito?








Dunque vediamo, disse Tino, ansimando, io vorrei proseguire per di là e incominciò a tracciare con la zampetta un percorso sul sasso, dove lui pensava di andare.







Mentre diceva queste parole, Tino sentì la terra muoversi. Con un sordo brontolio, tutta la collinetta si staccò dal terreno e Tino dovette aggrapparsi al sasso con tutte le sue forze per non cadere giù.







D’un tratto sentì una voce profonda e cantilenante che diceva:
“… No, no, non fare così sul mio naso, mi fai starnutire!!!
Tino, però non fece in tempo a capire dove fosse finito, che venne spazzato via da uno starnuto fortissimo simile ad un uragano.

“ E………EEEEEEEEEEETTCIU’








Quando si riprese dallo spavento vide, con stupore, che la collinetta si era alzata di molti metri.“Per tutti i baffi di gatto” disse Tino, “non ho mai visto una collinetta crescere a vista d’occhio….
Ma che razza di posto è questo qui?
“Beh, proverò a salire fino in cima, magari da lassù vedrò la casa di qualcuno”.

domenica 20 gennaio 2008

Topi e formaggi II

C’era una topina che si chiamava Lola,
viveva in una casa di gorgonzola.

Aveva un amico di soprannome Greggio,
che stava in una casa tutta di taleggio.

Andarono in America dal caro topo Milton:
aveva un castello fatto di Stilton.

Poi vollero trovare la topina Chloé,
sta in Francia in una casa tutta fatta di bleu.

giovedì 10 gennaio 2008

Impariamo i numeri

UN gabbiano vola alto
DUE scimmiette fanno un salto
TRE trichechi stan nuotando
QUATTRO buoi stan ruminando
CINQUE cigni nello stagno
SEI cornacchie su un castagno
SETTE grilli fanno il chiasso
OTTO rane sopra un sasso
NOVE bisce striscian via
DIECI versi: una poesia!




Sissi, 17 febbraio 2004

venerdì 4 gennaio 2008

LA BANDA DEL BOSCO FOSCO

Un Ghiro andava in giro
in cerca di un Tapiro;

invece chi t'incontra?
un'Istrice e una Lontra!

insieme vanno a spasso;
li ferma un vecchio Tasso,

che subito domanda:
"Avete visto un Panda?

gli devo dei favori,
perché, con due Castori,

mi ha tolto dagl'impicci
un giorno in cui sei Ricci

con quattro Porcospini
volevano i quattrini

che avevo nella borsa:
io presi una gran corsa,

veloce come il vento,
verde per lo spavento,

mentre i Castori e il Panda
bloccavano la banda,

e i dieci farabutti
scapparono via tutti!"

Che storia appassionante!"
dice il Ghiro sognante;

l'Istrice s'è incantata;
la Lontra è affascinata;

intanto una Marmotta
sbucata da una grotta

si avvicina al gruppetto
insieme ad un Furetto:

"Davvero, che avventura!"
"Quei Ricci, che figura!"

"Che ne dite, signori,
se cerchiamo i Castori

e quel Panda cortese
che han preso le difese

di un Tasso sconosciuto
e gli hanno dato aiuto?"

"Sì, sì, sono d'accordo!"
grida da un ramo un Tordo

che, stanco di volare,
s'era messo a ascoltare;

"Quel Panda, lo conosco!
Abita nel Gran Bosco,

vicino alla Sorgente
dell'Acqua Trasparente…

da lì nasce il Ruscello,
ed è certo per quello

che è amico dei Castori
che vivono là fuori…"

"Sicuro! affare fatto!"
Il Tasso, soddisfatto,

si mette sottobraccio
al Ghiro e, senza impaccio

né aggiungere parola,
segue il Tordo che vola…

"Férmati, non ci vuoi?
veniamo pure noi!"

esclama la Marmotta,
che giocava alla lotta

con la Lontra e il Furetto…
"Ma certo che vi aspetto!

e l'Istrice che fa?
ci segue, o non le va?"

"D'accordo, vi accompagno:
e porto pure il Ragno!"

dice l'Istrice Rossa
che intanto, in una fossa,

ha scovato un ragnetto
che faceva il bagnetto…

La compagnia è completa:
si avvìa verso la meta;

col Tordo sempre in testa,
arriva alla foresta;

si inoltra tra le fronde;
il buio li confonde;

si tengono per mano;
vanno sempre più piano…

Il Ghiro avverte il Tasso:
"Scansati ché c'è un sasso!";

la Lontra dice al Ragno:
"Attento a quello stagno!"

Marmotta si lamenta:
" Istrice, va' più lenta,

ché io non ho più fiato,
e Furetto è stremato!"

La marcia è proprio tosta:
si decide una sosta.

Il Tordo li consola
- è comodo: lui vola! -

"Forza, ragazzi, andiamo!"
li incita da un ramo;

"Vi siete riposati?
siamo quasi arrivati!"

E' vero: in quel momento
si sente un movimento

tra foglie e rami secchi:
gli otto stan tutt'orecchi…

quand'ecco, all'improvviso,
vedono un gran sorriso

che spunta tra le piante:
è lui! Panda Gigante…:

due occhi neri neri,
buonissimi e sinceri,

che sprizzano allegria:
"Che bella compagnia!

ma guarda che sorpresa!"
e avanza a zampa tesa

per salutare il Tasso…
Si scatena un gran chiasso!

Tutti insieme a parlare,
a ridere, a strillare:

"Signor Panda, permette?
col Tasso siam qui in sette,

per tutti è un grande onore
conoscerla, signore!"

"Talmente generoso!"
"E così coraggioso!"

"Scacciare i Porcospini
e i Ricci malandrini

che tesero un agguato
al Tasso pensionato!"

"E' stato un gran bel gesto!"
"Su, non faccia il modesto!"

"Ma no, che dite mai,
esagerate assai!

E poi, non ero solo:
se i ladri han preso il volo

il merito va dato
anche a chi m'ha aiutato:

quei due bravi Castori
che vivono qua fuori…"

E mentre dice questo
il Panda lesto lesto

accompagna gli amici
a un mucchio di radici:

tra i muschi ed i rametti
sbucano due musetti

vivaci e sbarazzini:
sono i due castorini!

Vista la comitiva
guadagnano la riva:

"Ma guarda quanta gente!
è proprio divertente!"

"Son tutti amici tuoi?
Veniamo via con voi!"

Così quella brigata
allegra e spensierata

comincia una gran festa
in mezzo alla foresta…

Ma i Ricci e i Porcospini
nascosti dietro i pini

li vedono ballare
e cominciano a urlare,

facendo un gran fracasso:
"Scusaci, vecchio Tasso!"

"Perdono, caro Panda!"
"Non siamo più una banda

di ladri prepotenti!"
"Facciamo pace! " "Senti:

noi ci siamo pentiti…
e tu che fai? ci inviti?"

Il Panda, si sa, è buono,
e gli dà il suo perdono;

il vecchio Tasso pure
scorda le sue paure

e li accoglie felice…
E il Ghiro cosa dice?

"Che bello! siamo in tanti,
e amici tutti quanti!"

Contento, guarda in giro:
manca solo il Tapiro!

Sissi, 11 aprile 2003

martedì 1 gennaio 2008

Arimòrtis e Arivìvis

C’erano una volta due fratelli, Arimòrtis e Arivìvis. Arivìvis era sempre allegro, mentre Arimòrtis era così triste che quando arrivava lui i bambini smettevano di giocare e si mettevano a piangere tutti insieme.
Nella strada dove abitavano c’era un bel cespuglio di rose. Passava Arivìvis e le rose sbocciavano in grandi fiori rossi, bianchi e gialli; ma quando sopraggiungeva Arimòrtis le rose appassivano e i loro petali cadevano per terra.
C’era un gatto che dava la caccia a una mosca con le sue zampette.
“Secondo me non la prende”, diceva Arivìvis.
“La prende, la prende”, lo contraddiceva triste Arimòrtis.
Non aveva ancora finito di parlare che, zàc, il gatto aveva schiacciato la povera mosca a terra sotto la sua zampa.
I contadini apprezzavano molto Arimòrtis. Quando veniva l’estate e i chicchi di grano crescevano sulle spighe, un gran numero di passeri arrivavano volando per mangiarli. I contadini, allora, chiedevano ad Arimòrtis di fare una passeggiata nel campo. Non appena lo vedevano, i passeri volavano via spaventati e il grano era salvo.

Stellina

C'era una volta una stella bambina:
di notte andava a spasso, e la mattina
tornava a casa, tutta trafelata…
era una stella un po' spericolata!
Spesso, per inseguire gli uccellini,
se n'andava per tetti e per camini,
s'arrampicava in cima alle montagne,
correva per i prati e le campagne…
Una volta, conobbe un pipistrello
e si fece invitare al suo castello;
un'altra volta andò, per Carnevale,
fino nel nido di un'aquila reale!
La Mamma le diceva ogni momento
di stare attenta, se incontrava il vento:
"Con un sospiro può portarti via:
e allora che faresti, figlia mia?
Il cielo è così grande e così nero,
ti perderesti, dentro al suo mistero…
il tuo vestito brilla come l'oro,
ma tu sei tanto piccola, tesoro!
se t'allontani troppo, amore mio,
non riuscirò a trovarti neanche io!"
Stellina l'ascoltava silenziosa,
e prometteva d'esser giudiziosa;
ma poi, da capo, nella notte scura,
andava ancora in cerca d'avventura…
Una notte, la Luna le propose
di giocare un po' insieme a rimpiattino
e per scherzo Stellina si nascose
tra le foglie di un albero, in giardino.
Proprio di lì, a quell'ora, passò il Vento:
vide Stellina splendere su un ramo,
soffiò più forte, e in meno di un momento
l'aveva trasportata già lontano!
Stellina, che era molto coraggiosa,
si lasciò portar via senza fiatare…
pensò: "la mamma, a volte, è un po' noiosa:
in braccio al Vento sembra di volare!"
E così quella stella birichina
viaggiò tutta la notte intorno al mondo;
vide l'America, l'Africa, la Cina…
come le vedi tu sul mappamondo!
All'alba, quando già spuntava il Sole,
Stellina s'era quasi addormentata
e il Vento, con dolcissime parole,
la cullava, tenendola abbracciata.
La ricondusse a casa, piano piano;
la mise a letto, silenziosamente;
lei gli mandò un bacetto con la mano…
e alla sua Mamma, non osò dir niente!


Sissi, Roma, dicembre 1983