venerdì 20 febbraio 2009

Ninna-nanna a improvvisazione

E' arrivato un capitano
dallo sguardo un poco strano,
è arrivato con suo figlio
su uno strano, gran naviglio.
Ha degli occhi spenti e buoni
e una barba nera e folta
alla moda d'una volta,
ha dei calli sui manoni.
La sua nave vola via
sulle onde senza scia:
una cosa così strana
da parere quasi arcana.
Gli offro un fiasco di buon vino
per sentirlo raccontare
per che via, per quale mare
sia approdato qui vicino.

"Molti anni ho navigato
per l'oceano salato,
trasportando merci e genti
per i quattro continenti;
finché un giorno non fui giunto
nel Mar Nero ed a quel punto
l'equipaggio stanco morto
volle fare sosta in porto."

Beve, beve il capitano,
mentre il figlio con la mano
della barba i fili intreccia
fino a farne lunga treccia.

"Fu nel bel porto d'Odessa
ch'io conobbi quell'ostessa
di cui, presto ricambiato,
mi trovai innamorato.
Senza fretta, ma con danno,
rimanemmo a Odessa un anno.
Quale danno spiegherò
se dell'altro vino avrò."

Beve, beve il capitano,
mentre il suo catamarano,
pur essendo il mare mosso,
resta fermo, e io non posso
ben comprender come faccia:
tutto rolla, e lui in bonaccia.

"Era incinta la mia ostessa,
cittadina lei d'Odessa,
mentre io, che ero inglese
fui cacciato dal paese.
Mi cacciarono da terra
perché aveva mosso guerra
il paese ove son nato
a quel che m'avea ospitato.
Me ne andai la notte stessa,
lì lasciando la mia ostessa,
e ripresi a navigare
ed a correre ogni mare.
Feci rotta per la Cina,
poi, parendomi vicina,
mi portai in Indonesia,
poi in Birmania, poi in Malesia.
Ma non c'era porto o sosta
che non arrivasse posta:
la mittente era la stessa,
'Olga Ivanovna, ostessa':
'Sai, è nato un bel maschietto,'
mi rigiro io sul letto,
'in tuo onore, capitano,
l'ho chiamato Ivan Gabbiano.'
Sappia, infatti, che di nome
son John, Seagull è il cognome."

Beve, beve il capitano,
e il suo sguardo va lontano.
La sua mente in mar s'è messa,
si dirige verso Odessa.

"Non potevo io aspettare
che una tregua o pace vera
mi lasciasse ritornare
alla madre e locandiera.
Travestito da argentino
noleggiai un brigantino.
Non ci volle un mese intero,
ch'ero giunto al Mare Nero.
Arrivai infine a Odessa,
ritrovai la sua locanda:
stava lì sulla veranda,
allattando, la mia ostessa.
Furono giorni felici,
vidi anche i vecchi amici:
marinai, armatori,
cuochi, attrici e traditori.
Tra questi ultimi un serpente
si rivolse a un sergente
della polizia d'Odessa,
che arrivò la notte stessa.
Mi portarono in prigione,
come spia e come nemico;
quanto triste non le dico
fu lasciar la mia pensione.
Mi volevan fucilare,
ma poi furono contenti
di lasciarmi anni venti
nella torre in riva al mare.
Nella cella, poco dopo,
incontrai un grosso topo,
che assieme a un vecchio ragno,
mi fu unico compagno.
Di lì in capo a pochi anni,
per vecchiaia e malattia,
lasciai loro e i miei affanni
senza la mia compagnia.
Il mio corpo fu sepolto,
però l'anima ribelle
fu all'idea che mi fu tolto
Ivan, e uscì dalla pelle.
Mi recai dalla mia ostessa,
nel suo bar in centro a Odessa,
e convinsi lei e il figlio
a seguirmi sul naviglio.
Un naviglio che vedrete,
se degli occhi buoni avete,
nelle notti senza luna
navigare alla fortuna."

Con la manica asciugò
le sue labbra e salutò,
poi col figlio uscì sul molo;
li seguii, ma lì ero solo.
Era notte di uragano
e mi parve molto strano
tra la nebbia ed il miasma
di veder, quasi fantasma,
una nave che correva,
senza scossa, né rollio,
come fosse del mar dio,
e nel mare si perdeva.
Credermi, lo so, è duro:
al timone è il capitano,
tiene stretta per la mano
una donna in velo scuro.